L’incanto della pietra di luna

di Maria Pilar Lebole

L’eterogeneità delle arti applicate fiorentine vanta lo scrigno del più famoso artista, scagliolista e collezionista della storia contemporanea. Nella bottega di Pontassieve, Comune alle porte di Firenze, diretta oggi dai fratelli Alessandro ed Elisabetta Bianchi che hanno abilmente appreso il mestiere dal padre Bianco, si lavora l’arte “illusoria” della pietra di luna.

Nell’Atelier Bianco Bianchi, la magnificenza della scagliola fiorentina si tramanda di generazione in generazione. I fratelli Alessandro ed Elisabetta, eredi del fondatore, realizzano pezzi unici e capolavori destinati a dimore da sogno.

Bianco Bianchi, nato nel 1920, alla fine degli anni Quaranta lascia il lavoro sicuro da impiegato del Ministero della Difesa per inseguire il sogno di realizzare scagliole, mosso dal grande apprezzamento per i capolavori di Don Enrico Hugford conservati nel Museo dell’Opificio delle Pietre Dure. Per un decennio Bianchi si cimenta nella ricerca della formula più giusta per trasformare quelle meschie in raffinati decori artistici per piani di tavolo e pannelli. È il figlio dello scrittore Giuseppe Prezzolini ad accorgersi di tale maestria e capacità artistica e ne decreta l’immediato successo promuovendo le sue opere in America.

Da allora l’impiegato-artigiano decide di dedicare la sua vita alla scagliola avviando la produzione di nuovi oggetti, il restauro di pezzi antichi e l’acquisizione di quella che è considerata la più importante collezione esistente. «Egli rappresenta con tanta maestria, e con tanta verità sulle scagliuole le figure umane, e di animali, anche in copiose storie, e le vedute di edifizi, e di campagne, che i suoi quadri sono divenuti lo stupore non tanto della Toscana, quanto de’ più ragguardevoli forestieri, i quali ne fanno ricerca grandissima e ne hanno già trasportati gran numero nelle più colte province d’Europa.» Così il celebre studioso fiorentino Giovanni Targioni Tozzetti descriveva nella metà del Settecento l’arte del saper fare di Don Enrico Hugford, il monaco vallombrosano di origine inglese trasferitosi alla fine del Seicento a Firenze alla corte medicea. Questi allargò gli orizzonti della tecnica della scagliola proponendola come un genere pittorico originale e realizzando paesaggi, vedute e ritratti rifiniti con pennellate sovrapposte e lucidati come se fossero ricoperti di vetro. La sua opera ebbe molto successo anche all’estero e soprattutto in Inghilterra grazie al fratello Ignazio, pittore e collezionista d’arte che lo introdusse nel mercato internazionale.

Due storie, quella di Hugford e quella di Bianchi, cariche di interesse e di sperimentazione che si assimilano alla stessa passione: una tecnica realizzata con scaglie trasparenti di pietra selenite (da selene, in greco luna), comunemente chiamata “pietra di Luna”, anticamente usata per la sua struttura lucente e cristallina tanto da essere sostituita al vetro. La pietra è reperibile nell’Appennino modenese. Le prime applicazioni tecniche a finto marmo per cornici, lapidi e altari si apprezzano a Carpi, nell’intelvese nella provincia di Como, e quindi nelle Marche, in Toscana e soprattutto a Firenze nel XVIII secolo dove si è concentrato il maggior numero di opere di altissimo valore artistico.

Il composto di selenite tritata e miscelata con colla e pigmenti naturali diede origine alla tecnica di lavorazione a stucco per creare imitazioni di marmi e pietre dure con l’ausilio di materiali poveri. Dopo aver realizzato e acquarellato il disegno a mano, lo spolvero consente di riportarne i contorni nella lastra in scagliola e poi procedere alla svuotatura. Quello spazio è pronto per ricevere la meschia fatta di polvere di selenite macinata a talco, acqua di colla e pigmenti colorati. Una volta asciugato il colore, si leviga il piano con la pietra pomice a grana leggerissima eseguendo movimenti rotatori fino alla lisciatura completa. È così che Alessandro ed Elisabetta lavorano a regola d’arte realizzando manufatti in stile antico e con la stessa tecnica artistica appresa dal padre. Innovano la produzione con gusto contemporaneo e attivano collaborazioni con architetti, decoratori e designer per arredare con piani di tavolo a nastri e fiori, o a conchiglie e porfido o in stile neoclassico, la residenza del principe di Galles Carlo d’Inghilterra, il duca di Kent e il sultano del Brunei, oppure per lo stilista Gianni Versace, il famoso tavolo Medusa. L’arte dei Bianchi si apprezza sul mercato del design contemporaneo con i Pinfold, vassoi componibili e impilabili e i Quid, sedute, tavolini ed elementi per basi, esposti al Salone del Mobile di Milano e al MAD di Singapore oppure i pouf dai colori pastello, frutto della ricerca formale della designer creativa Sara Ricciardi o il più recente tavolo in marmo e scagliola Nirvana con il mandala centrale intarsiato da 167 lastre di scagliola trasparente e luminosa, presentato in occasione della prima edizione del Premio Starhotels nell’ambito del progetto “La Grande Bellezza”.

È con la stessa passione che il Maestro Alessandro riesce a trasmettere la sua arte al giovane Leonardo, figlio venticinquenne e terza generazione a bottega: padre e figlio si sono resi protagonisti, insieme ad altri eccellenti artigiani, dell’evento “Il Rinascimento e la Rinascita”, la tre giorni di Alta Moda con cui gli stilisti Dolce&Gabbana hanno voluto omaggiare Firenze nel settembre 2020: un momento di rinnovato splendore nel pieno della crisi causata dalla pandemia.

Maria Pilar Lebole

Maria Pilar Lebole

Giornalista, dirige la rivista OMA ed è responsabile di Osservatorio dei Mestieri d’Arte per Fondazione CR Firenze. Da oltre venti anni è impegnata nella ricerca e promozione dell’artigianato artistico con iniziative e progetti culturali, tra cui mostre, contest dedicati alle giovani promesse dell’artigianato artistico, esperienze di didattica e di formazione per i mestieri d’arte.

CONDIVIDI