Geometrie pure e preziose

di Alba Cappellieri

Maestro è colui che plasma la materia con la sua impronta, che trova la bellezza nella verità, che guarda all’ordinario con occhi straordinari. Che non teme la deroga ma con il suo esempio la trasforma e così facendo introduce nuove prospettive. Maestro è chi ha il coraggio di sperimentare e la pazienza di ripetere mille volte lo stesso gesto, chi non perde la passione e l’entusiasmo per il proprio lavoro ed è costantemente mosso dalla curiosità.

Forza creativa, magia delle proporzioni, suggestiva precisione. Giampaolo Babetto, orafo padovano, erede di Mario Pinton, trasforma l’oro in gioielli di estrema purezza, essenziali, liberi. Artista riconosciuto a livello internazionale, esplora anche ambiti diversi e materiali insoliti in una continua sfida con se stesso.

Maestro è chi non teme nuove visioni e nuovi linguaggi o, secondo la brillante definizione di Gio Ponti, «è un creatore: di idee, verità e bellezza». È chi non si accontenta dello status quo ma guarda avanti, «fino a farsi scoppiare le orbite» come ripeteva Pieter Oud ai suoi studenti. Giampaolo Babetto è un Maestro. Dell’arte orafa, che pratica tra mestiere e progetto, tra tradizione e sperimentazione, riuscendo a conciliare mondi e metodi lontani nei bagliori luminosi dell’oro delle sue creazioni. Uomo dolce e mite, curioso e generoso come le colline di Arquà Petrarca, l’incantato borgo medioevale dei Colli Euganei, dove vive e lavora. Babetto nasce nel 1947 a Padova, studia all’Istituto d’Arte Pietro Selvatico con Mario Pinton, il fondatore della Scuola di Padova di cui è discepolo e erede. «Stavo ancora frequentando l’Istituto d’arte – afferma – quando ho deciso
di provare qualcosa con l’oro. Avevo un disegno che poteva essere tradotto in una spilla e, dalle reazioni e dalle sensazioni che mi dava nel realizzarla, ho capito che sarebbe stato il materiale che avrei usato per tutta la vita, avevo trovato la mia strada.» Nascono così gioielli in cui l’oro è il protagonista assoluto, per la sua potenza sensoriale e cromatica, per la duttilità e malleabilità, come dimostrano i capolavori di Mario Pinton e dei suoi allievi prediletti Giampaolo Babetto
e Francesco Pavan.

Grazie a loro che negli anni Settanta la Scuola di Padova rappresenta una delle novità più interessanti del panorama orafo italiano, perché centrata sulle attività formative di un gruppo di orafi artisti all’Istituto Pietro Selvatico che, alternandosi nel ruolo di allievi-docenti hanno promosso un’originale cultura orafa: da Mario Pinton a Giampaolo Babetto e Francesco Pavan, fino alla terza generazione, rappresentata da Stefano Marchetti, Renzo Pasquale, Annamaria Zanella. Anche se oggi, purtroppo, il Selvatico ha cessato di essere un riferimento per il gioiello italiano e Babetto ha portato avanti la sua ricerca in modo del tutto autonomo, eppure, per qualche singolare ragione, è ancora la più potente cassa di risonanza della scuola di Padova nel mondo. Nelle sue mani l’oro diviene materia viva, plastica, liberata dal simbolismo delle gemme, si piega docile alla volontà della geometria, per trasformarsi in un canto d’astrazione. «Ho sempre eliminato ogni tipo di decorazione dai miei gioielli – chiarisce – non tanto per scoprire una geometria o il processo che sta dietro alla forma, quanto perché il mio lavoro non è fatto di apparenze, nasce dall’interno, comunica un’interiorità: la mia.»

Negli anni Settanta i sussulti dell’arte cinetica lo entusiasmano e si traducono nelle strutture geometriche di elementi mobili e rotanti come lo straordinario anello a lamelle del 1970, cui fecero seguito le lunghe catene, elastiche ed estensibili,
composte da elementi modulari, come la collana d’oro giallo a parallelepipedi del 1977. Geometria e modularità si succedono nei quadrati, coni, ellissi e cilindri, in oro, niellati o illuminati dal colore dei pigmenti, delle sue collane, anelli o spille, micro architetture dalle forme scultoree e dai volumi armoniosi, dove i confini tra artigianato e arte sono indistinguibili. «Un mestiere può diventare arte – afferma – quando creatività e manifattura sono entrambe di altissima qualità.» I suoi gioielli sono realizzati rigorosamente a mano e curati in ogni dettaglio, al pari del concetto che li ha generati. «Saper fare è importante come saper suonare uno strumento, danzare, disegnare… Non è fine a se stesso ma va di pari passo con il pensiero e la ricerca artistica.»

Babetto conosce il passato e lo filtra nelle sue visioni del futuro, recupera antiche tecniche come il niello, i cui chiaroscuri danno profondità e densità alla superficie aurea, e lavora per sottrazione, eliminando gli orpelli e le decorazioni della gioielleria tradizionale. La ricerca dell’essenza dona alle sue creazioni un’aurea di poesia e di eternità, ricordandoci che, come diceva sant’Agostino, «Dio è nei dettagli».

«Mi piacerebbe – ci confessa – che quello che riesco a fare contenesse quel pathos che tutte le opere d’arte importanti fanno sentire, quella tensione speciale che si fa sentire ma non si può spiegare.» È per questo che, dopo l’esperienza didattica all’Istituto Selvatico di Padova e alla Rietveld Academie di Amsterdam e dopo i numerosi riconoscimenti a Monaco, Tokyo e New York dove nel 2003 gli viene assegnato il Premio Career Excellence, il Maestro Babetto decide di esplorare anche ambiti progettuali trasversali, come arredi e vasi, dove la sfida con se stesso e con la materia diventa tensione creativa. «Mi piace spaziare in discipline diverse per non fossilizzarmi in un’unica esperienza e mi piace anche pensare che qualsiasi cosa venga realizzata e di qualsiasi tipo sia sullo stesso piano, e dovrebbe quindi essere concepita con la stessa finalità. Non posso fare a meno di esplorare mondi e territori sconosciuti.» Questa incessante curiosità lo porta a progettare tavoli e arredi ma anche a introdurre nei suoi gioielli materiali insoliti, come l’ebano, la resina, affiancandoli spavaldo alle gemme, convinto, a ragione, che non avrebbero sfigurato. Arte, architettura e gioiello si ritrovano in Babetto, che, come sostiene poeticamente Germano Celant, «aspira a ricucire il nodo tra spirito e materia congiungendo, nel vortice purificatorio dell’oro, maschile e femminile, naturale e artificiale, passato e presente.»

Alba Cappellieri

Alba Cappellieri

Professore Ordinario di Design del Gioiello e dell’Accessorio Moda al Politecnico di Milano. Dal 2014 è direttore del Museo del Gioiello, all’interno della Basilica Palladiana di Vicenza, il primo museo italiano dedicato al gioiello.

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