Telai d’autore

di Simona Segre Reinach

fotografie di Susanna Pozzoli per Michelangelo Foundation

La Tessitura Luigi Bevilacqua è un organismo vivente. I suoi telai settecenteschi sono “meteoropatici”: messi in tensione da pietra e corde di canapa risentono dell’umidità, dell’alta pressione, delle condizioni atmosferiche di Venezia, la città in cui l’antica arte della seta è fiorita.

A Venezia, dalla sfida tra avanguardia e tradizione nascono i sofisticati capolavori di tessitura di Emanuele Bevilacqua. Sugli antichi telai si alternano ricostruzioni storiche, come i velluti del Cremlino, e progetti sperimentali provenienti dalla collaborazione con il mondo dell’arte e della moda.

I telai, tuttavia, sono solo «quattro banali pali in legno,» precisa il nipote del fondatore, Emanuele Bevilacqua, «poi tutto il resto sta in chi li assetta, come si compongono i 16.000 fili, perché tutto si può fare, ma bisogna pensare, ricreare, innovare sempre, raccogliere le sfide.» Se quindi immaginiamo l’archivio Bevilacqua come un insieme di telai antichi messi in funzione da tessitrici esperte per fare e rifare ciò che è stato creato nel passato, siamo sideralmente distanti dal comprendere la dimensione sperimentale e progettuale di Emanuele Bevilacqua. I 17 telai si convertono incessantemente, riproducendo velluti operati su disegni antichi e nuovi.

Ricostruzioni storiche – come i 600 metri di velluto cremisi prodotti manualmente per il Palazzo Residenziale di Dresda identico all’originale settecentesco – si alternano a velluti coloratissimi per progetti d’avanguardia che si tratti di arte, come la collaborazione con Nathalie Du Pasquier, o di moda. È il caso dell’abito Ophélia realizzato per Yiqing Yin: un fondo marino multicolore per un velluto da Haute Couture parigina. Una di quelle sfide che la moda ama porre. Con la moda, del resto, Bevilacqua ha una lunga consuetudine. Dalla storica borsa Bagonghi di Roberta di Camerino ai progetti attuali come la baguette in broccato floreale Hand in Hand di Fendi, dal jacquard per Pier Paolo Piccioli di Valentino al velluto soprarizzo con fili d’oro per la collezione di Dolce&Gabbana presentata nella Valle dei Templi di Agrigento, fino alla Trunk Sublime Bag per Marni.

Tiziano Guardini, designer ecologista, ha trovato in Bevilacqua il partner per esplorare lusso e upcycling all’insegna della sostenibilità. «Spesso si parte dalla fine e non dall’inizio,» continua Emanuele. «Per gli arredi in velluto verde e giallo del Cremlino, uno dei progetti più complessi e di maggiore soddisfazione, non esisteva un telaio adatto: è stato creato a partire dal disegno finale, perfezionando i “quattro pali” per ottenere il velluto soprarizzo Grottesche.»A questo punto è opportuno domandarsi quale sia il ruolo della tradizione; in che misura la nobile storia di una tessitura antica abbia a che vedere con quanto viene realizzato nel presente, come si coniughi la storia con il ritmo delle produzioni contemporanee. Ho buoni motivi per pensare che il valore della tradizione, che pure è condizione necessaria, non sia sufficiente. Spesso la “moda dell’archivio” nasconde la complessità esistenziale e le professionalità che rendono un’impresa in grado di competere nel tempo presente. Parte della risposta la si può trovare nel concetto di matrice intellettuale coniato da Alberto Cavalli, ossia nella capacità di tenere insieme il “saper fare” con la “cultura del fare”, esprimendo contemporaneità e non mera celebrazione.

Anche le “due date di nascita” della Tessitura Bevilacqua suggeriscono uno spunto di riflessione. Le prime evidenze dei Bevilacqua risalgono a fine Quattrocento, quando il nome del tessitore Giacomo Bevilacqua compare tra i committenti di un’opera del pittore Giovanni Mansueti. Il Rinascimento – fin troppo spesso evocato per celebrare il made in Italy – qui ha un senso preciso. Esserci, a Venezia, tra il Quattro e il Cinquecento, significa prendere le mosse quando, in Europa, tutto comincia, in termini di antropologia del gusto. L’Ottocento rappresenta l’altro inizio, quello della modernità, con la rivoluzione industriale che, partendo proprio dal tessile, cambia il significato del vestire e dell’arredare. Dal 1874, anno della fondazione ufficiale, Bevilacqua si pone come alternativa impeccabile a un futuro solo meccanico, senza peraltro trascurare quest’ultima opzione. A Conegliano, i telai jacquard sono meccanici, seppure richiedano sempre la mano umana. La circolarità della moda consiste nella capacità di cogliere il presente metabolizzando il passato. È il caso degli abiti realizzati in collaborazione con Maria Grazia Chiuri, direttrice artistica di Dior, per il “Tiepolo Ball” a Palazzo Labia che riecheggia lo storico “Ballo Beistegui”, emblema della rinascita post-bellica.

Ecco che tra tempo reale e tempo simbolico, Emanuele Bevilacqua attinge al “tempo ucronico”, cioè all’immaginario della moda – come teorizzano Caroline Evans e Alessandra Vaccari – alla fantasia e al pensiero innovativo senza i quali non ci è permesso sognare, né godere di ciò che altri hanno sognato e realizzato per noi.

Simona Segre Reinach

Simona Segre Reinach

Professoressa associata all’Università di Bologna, dirige la rivista Zonemoda Journal. Ha scritto saggi sulla globalizzazione e sulla curatela della moda, ha curato mostre e allestimenti. La sua più recente pubblicazione si intitola Biki. Visioni francesi per una moda italiana (Rizzoli, 2019).

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