Pitture di pietra: L’opificio delle Pietre Dure

di Annamaria Giusti

Nacquero così vasi di forme bizzarre, cammei, sculture in miniatura e un nuova maniera di lavorare le pietre dure, destinata a lungo e durevole successo. Si trattò del “mosaico fiorentino”, allora e in seguito noto in tutto il mondo con questo nome, perché nato alla corte medicea di Firenze, dove nel 1588 Ferdinando i fondò una manifattura dedicata a quest’arte difficile e costosa, per secoli ammirata e ambita in tutta Europa.

Nel Cinquecento il fascino delle pietre dure si impose nella cultura del Rinascimento e nel gusto sofisticato delle corti principesche. Nei lavori artistici di pietre dure si apprezzava la felice fusione tra Natura e Arte, scaturita dal pregio intrinseco dei materiali e dalla fantasiosa inventiva degli artefici.

Questa speciale pittura di pietra, come il Granduca Ferdinando volle definirla, era in grado di gareggiare con i dipinti quanto a varietà e qualità dei soggetti, grazie alla scintillante tavolozza naturale delle pietre, che a differenza dei colori usati in pittura aveva il pregio di restare inalterata nel tempo. Appunto la scelta delle nuances era essenziale alla buona riuscita del mosaico fiorentino, che si fondava inoltre sull’estrema precisione nel taglio dei profili irregolari delle sezioni lapidee. Queste venivano poi fatte combaciare perfettamente, come in un puzzle di maniacale precisione, suscitando nell’osservatore l’illusione di un’immagine unitaria, quasi si trattasse appunto di un dipinto, e non di un mosaico faticosamente costruito con centinaia di pezzetti di pietre.

Per questi scopi ambiziosi serviva una quasi illimitata disponibilità di materiali dalle cromie più varie e sfolgoranti, che i Medici fecero arrivare dai territori più lontani, per disporre di un campionario unico al mondo, al quale attingere per dare vita a magici capolavori lapidei. La potenzialità artistica delle pietre policrome fu messa a frutto sia in veste di fulgido apparato architettonico, nello straordinario Panteon della Cappella dei Principi foderato di pietre dure, che per aulici arredi quali tavoli, pannelli parietali, scrigni, quadri dove il mosaico fiorentino trovava le più fantasiose forme di applicazione. Queste scaturivano dalla collaborazione fra artisti “creativi”, quali i pittori, scultori e architetti attivi per la corte, che progettavano gli arredi e i loro decori, e i maestri di pietre dure della manifattura che li mettevano in opera, instaurando una riuscita collaborazione destinata a garantire per secoli l’eccellenza dei lavori granducali.

Arte supremamente aristocratica, per il fasto dei materiali, la lenta e ardua lavorazione, l’aspirazione a creazioni di immutabile splendore, il mosaico fiorentino era fatto per suscitare passioni regali. Che non mancarono di accendersi, grazie anche all’accorta politica promozionale dei Granduchi di Toscana, prodighi di doni che rinnovassero nelle corti d’Europa la fama artistica di Firenze. Molti regnanti non si accontentarono degli omaggi pur sontuosi che arrivavano dai Granduchi, ma vollero creare personali manifatture di corte, rivolgendosi ogni volta a quella fiorentina per “importare” gli specialisti di quest’arte che non ammette improvvisazioni.
I mosaici di pietre dure fiorirono così anche presso Rodolfo II d’Asburgo a Praga, nei laboratori dei Gobelins del Re Sole, alle corti borboniche di Napoli e Madrid, consolidando la fama della casa-madre fiorentina. Tanto che all’estinguersi della dinastia medicea, nel 1737, i nuovi Granduchi Asburgo Lorena rivitalizzarono l’antica manifattura, inesausta creatrice di arredi sempre superbi per la reggia fiorentina come per quella viennese. Con l’unità d’Italia, dal 1861 il laboratorio granducale divenne Istituto dello Stato con il nuovo nome di Opificio delle Pietre Dure, mantenendo viva una nobile tradizione che a fine secolo andò declinando, a favore della nuova specializzazione nel restauro delle opere d’arte.

È questa l’attuale e vitale fisionomia dell’Opificio, punta di diamante anche in ambito internazionale nell’attività, ricerca e formazione per la conservazione del patrimonio artistico. Ma nel moderno Opificio non ha cessato di battere il suo cuore antico, tuttora vitale in un laboratorio che ha conservato ininterrottamente l’eredità dell’antica tradizione medicea. Qui specialisti di straordinaria manualità sono in grado di restaurare le meraviglie del passato e di ricrearle, con gli stessi semplici strumenti di un tempo, governati da mani infallibili e da occhi che sanno guardare alla magica cromia delle pietre con la sensibilità pittorica di veri artisti.

Nella stessa sede di via degli Alfani 78, il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure guida il visitatore attraverso i tre secoli di storia della manifattura fiorentina. Negli ambienti suggestivi del Museo, progettati da Adolfo Natalini, ci si trova immersi in una Wunderkammer dove la fantasia della natura e dell’arte si fondono con gusto squisito e tecnica perfetta, per sorprenderci e incantarci ancora oggi.

Annamaria Giusti

Annamaria Giusti

Storico d’arte per il Ministero per i Beni Culturali dal 1976 al 2013, ha diretto il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure e la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti. Specialista dell’arte delle pietre dure, è autrice di numerose pubblicazioni e curatrice di mostre in Italia e all’estero.

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