Lucio Bubbacco. L’audacia nel movimento

di Jean Blanchaert

fotografie di Diego Lazzarini

La chiamavano “Madre Bubacco”. Si era trasferita per matrimonio da Mazzorbo a Sant’Erasmo, isola della Laguna Veneta settentrionale detta “l’orto di Venezia”, la più prossima alla terraferma. L’invalidità che il marito si portava appresso dalla Grande Guerra era peggiorata col tempo e gli impediva di lavorare. Madre Bubacco manteneva i quattro figli portando verdure fresche a Tre Porti, sulla costa, vogando da sola alla valesana. Un pomeriggio di novembre inoltrato, sulla via del ritorno, fu colta dalla bora che alzava onde spaventose, cavalloni alti più di due metri. Affondò col suo sàndolo. Fu ritrovata sulla spiaggia, vicino ai remi spezzati.

La lavorazione del vetro a lume, presente in Laguna sin dal Rinascimento, grazie a Lucio Bubacco ha superato usi e concezioni tradizionali per raffigurare “l’impossibile”: la figura umana in movimento. Nelle opere dell’artista e maestro vetraio muranese, figlio d’arte (e di mestiere), il flusso di azioni ed emozioni riprodotte in figure ispirate alla cultura classica e alla mitologia continua la narrazione contemporanea di un viaggio immaginario, che grazie alla pandemia si è concluso con un nuovo, straordinario capolavoro.

Siamo nel 1932: il destino dei Bubacco cambia per sempre. Quel giorno finisce anche l’infanzia di Severino, futuro padre di Lucio. All’età di otto anni, lui e suo fratello maggiore si devono preoccupare di guadagnare qualcosa per contribuire a mantenere loro stessi e le due sorelline piccole. Tutti i giorni vengono fatti salire su una barca di gente dell’isola che va a lavorare in fornace, a Murano. Partenza alle tre di mattina, ritorno alle cinque di pomeriggio. Sul grande sàndolo remano gli adulti mentre i bambini dormono. Un’ora e mezza all’andata, un’ora e mezza al ritorno. Severino, in vetreria, comincia da garzonetto e in vent’anni diventerà maestro. Col fratello apre una fornace e inventa l’effetto del vetro acquoso: i loro lampadari sembrano bagnati, e per questo vengono chiamati i “fratelli rugiada”. La vetreria ha molto successo, ma chiude a causa dei troppi furti subiti e di una cattiva amministrazione.Nel 1957, sei mesi prima della nascita di Lucio, il maestro Severino decide di partire per cercare fortuna all’estero. Comincerà a farsi conoscere all’Exposition Universelle et Internationale di Bruxelles nel 1958, ma ben presto si affermerà negli Stati Uniti.

Celebri erano le sue esibizioni a Philadelphia, negli anni Sessanta, al John Wanamaker Department Store. Severino Bubacco aveva inventato un forno elettrico, conosciuto come “forno con muffola Bubacco”, grazie al quale poteva soffiare e raffreddare il cristallo al piombo lavorandolo come se fosse vetro e senza infrangere i regolamenti di sicurezza che non prevedevano l’uso del fuoco all’interno della magnifica Grand Court del Wanamaker. C’era la coda per aggiudicarsi le sculture realizzate che, grazie all’ingegnoso sistema di raffreddamento, potevano essere consegnate al cliente nel giro di un’ora.
Severino Bubacco viaggiò per il mondo per ben quarantun anni tornando però sempre, periodicamente, a Murano, in famiglia. Bubacco senior fu per il figlio Lucio un mito, un esempio assente, una figura guida anche da lontano che suscitò in lui un desiderio di emulazione: Lucio, lo straordinario protagonista della rinascita contemporanea del vetro a lume in Laguna, deve quindi a questa figura ormai quasi leggendaria la sua dedizione a un’originalità che diventa narrazione, fragile ed eterea ma anche incisiva e iconica.

Bubacco, quattordicenne, si è accostato dunque al vetro a lume. Per tre anni ha lavorato senza sosta in una grande vetreria realizzando migliaia di piccole sculture che dovevano essere eseguite in un certo modo e alla perfezione. Una volta acquisita la mano perfetta, decide, a diciassette anni, di aprire la sua attività. La scelta del vetro a lume è un motus proprius, che si inscrive nell’inclinazione dei Bubacco all’autonomia, all’indipendenza. Munito del proprio “cannello” chiuso in un astuccio Lucio può viaggiare per il mondo come un flautista, un clarinettista, un oboista solista; può eseguire la propria musica in concerto senza dover collaborare con la meravigliosa ma ingombrante orchestra di una vetreria dove suonano e ballano maestro, aiuto maestro, servente, serventino, garzone e garzonetto. La lavorazione del vetro a lume è una tecnica solitaria. Il maestro si trova a tu per tu col materiale vitreo, che viene scaldato e modellato tramite la fiamma emessa da un cannello di metallo, collegato a una bombola che immette gas e ossigeno. Anche le sue ispirazioni sono il frutto di una visione originale. Il mondo letterario che affascina Lucio Bubacco è infatti un mondo pagano, pre-monoteista, pre-ebraico, pre-cristiano, pre-islamico: si tratta di cultura egizia, greca, ellenistica e romana senza trascurare le incursioni nell’universo cattolico di Dante Alighieri e nella tradizione veneziana della Commedia dell’Arte. L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. ci ha restituito la visione degli abitanti di Pompei colti dalla lava bollente e pietrificati nell’atto che stavano compiendo.

Questo “fermo immagine” Lucio Bubacco lo ripropone in vetro a lume creando figure umane più vive della realtà. I suoi personaggi sembrano sempre in movimento e ci raccontano delle storie: a volte si ha l’impressione di essere condotti da Olimpia, madre di Alessandro Magno e grande maestra di riti dionisiaci, altre volte ci si ritrova in raffinati romanzi erotici tipo Histoire d’O o nelle 120 giornate di Sodoma del Marchese de Sade.

Parlare con Lucio Bubacco non è semplice: il suo cervello è come un cavallo da rodeo che lui stesso fa fatica a domare. I pensieri arrivano velocissimi e le parole spesso non riescono a stargli dietro. Si esprime come un fiume in piena, ma quando la conversazione termina ci si ritrova arricchiti di mille notizie, pensieri, nozioni e molto humor. Lucio Bubacco ha come modello il padre, ma non solo: ha infatti appreso dal pittore Alessandro Rossi le tecniche raffinate del disegno anatomico grazie alle quali progetta il suo lavoro, il cui risultato finale, al di là dei dettagli, ci riporta nella Venezia del Rinascimento. Un Rinascimento del terzo millennio.

Jean Blanchaert

Jean Blanchaert

Gallerista, curatore, critico d’arte e calligrafo, da più di trent’anni conduce la galleria di famiglia fondata dalla madre Silvia nel 1957 e da sempre specializzata i n materiali contemporanei. Dal 2008 è collaboratore fisso del mensile Art e Dossier (Giunti Editore). Nel 2018 è stato curatore della sala Best of Europe di “Homo Faber”, alla Fondazione Cini, a Venezia.

CONDIVIDI