Cuore artigiano

di Giulia Crivelli

Avete mai avuto il piacere, la fortuna, il tempo di ascoltare un artigiano che racconta come ha creato l’oggetto che state per comprare o che avete commissionato o che magari sta per esservi regalato? È un’esperienza bellissima: ci porta nel mondo di chi lavora stabilendo una connessione tra mente, cuore e mani. Per questo a volte si parla di mani sapienti, ma l’espressione a guardar bene è riduttiva. Non si tratta solo di mani: sono i gesti e i movimenti tutti degli artigiani a essere sapienti.

Questa è la nostra casa, un posto in cui accogliamo i nostri ospiti per mostrare loro chi siamo e in che cosa crediamo. Crediamo nell’eredità.

Sentire Domenico Dolce e Stefano Gabbana che parlano delle loro collezioni, nel backstage, a pochi minuti dall’inizio di una sfilata o di un evento è un’esperienza molto simile ad ascoltare un artigiano nella sua bottega. I due stilisti-imprenditori amano raccontare il lavoro artigianale, invisibile agli occhi dei più, che c’è dietro ogni abito o accessorio, come se l’avessero fatto loro. In parte, allargando lo sguardo, è proprio così. Primo, perché anche il disegno, lo schizzo, la traduzione di un’idea sulla carta è un atto di artigianalità, oltre che di creatività. Secondo, perché sono Domenico e Stefano a sostenere, incoraggiare, a volte scovare, in giro per l’Italia, le mani sapienti che, di stagione in stagione, senza soluzione di continuità, contribuiscono a dare forma e vita a una collezione. Nel caso di Domenico c’è poi un altro elemento. A ricordarlo sempre è Stefano, sorridendo: «Faceva il sarto ancora prima di nascere: credo che sua mamma abbia lavorato fino a poche ore dal parto ed era proprio una sarta, bravissima. Domenico è artigiano nel Dna e poi per vocazione e formazione».

Dolce & Gabbana oggi è uno dei primi cinque gruppi italiani della moda, con un fatturato di circa 1,3 miliardi e, solo nel nostro Paese, dà lavoro direttamente a oltre mille persone. Ma lo spirito dei due fondatori – e questo è la forza del marchio – è lo stesso del 1985, quando organizzarono la prima sfilata. «All’inizio, parliamo di oltre 35 anni fa, avevamo pochi soldi ed era importantissimo usarli bene, dando priorità molto nette. Una di queste era creare uno spazio per le nostre sarte che fosse il più accogliente e luminoso possibile. All’epoca tutto ciò che aveva l’etichetta Dolce & Gabbana era fatto a mano al 100% praticamente sotto i nostri occhi», ricordano Domenico e Stefano. «Oggi questo non accade più, ovviamente, tranne che per le collezioni di pura artigianalità, quelle di alta moda, alta sartoria, alta gioielleria e alta orologeria. Non è pensabile fare tutto a mano non soltanto per una questione di costi e di prezzi finali, ma anche per i tempi che l’artigianalità richiede per sua natura. Il numero di capi e accessori di prêt-à-porter che dobbiamo garantire ai vari canali di distribuzione in tutto il mondo non è compatibile con il numero di artigiani che esistono e che hanno i loro tempi, tempi che non è possibile e non sarebbe giusto forzare».

Le collezioni fatte a mano di alta moda (donna) e sartoria (uomo) e di alta gioielleria e orologeria sono un’avventura creativa iniziata nel 2012 e da allora vengono presentate due volte all’anno con eventi itineranti, ma rigorosamente in Italia. Eventi speciali che durano un giorno e sono pensati per regalare ai clienti di tutto il mondo autentiche esperienze di vita e stile italiani. Lo spunto sono vestiti e accessori, ma tutt’intorno Domenico Dolce e Stefano Gabbana – e le migliaia di persone chiamate e dare un contributo – costruiscono una sorta di “mini Italia” fatta di artigiani di ogni tipo e, naturalmente, di unicità enogastronomiche e persino musicali. Qualcosa di queste esperienze e collezioni fatte di pezzi unici si trasferisce comunque al prêt-à-porter. «Pensiamo che in qualsiasi capo o accessorio Dolce & Gabbana, da donna, uomo o per bambini, si percepisca questo spirito artigianale, di fatto a mano, di tradizione tramandata di generazione in generazione. Si percepisce perché è davvero così, per tutto: dagli abiti alle calzature, passando per occhiali, bijoux, gioielli, orologi e persino per le linee di beauty», sottolineano Domenico e Stefano. «È parte del successo e della crescita del nostro brand, è un legame con clienti della prima ora, fino a quelli conquistati più di recente, basato sulla coerenza di fondo. Le nostre campagne di comunicazione riflettono
questi tratti, diciamo così, caratteriali, ma se sotto non ci fosse la sostanza non basterebbe».

Per concludere, un sogno. Anzi, un auspicio: «Negli ultimi anni, complici forse le tante crisi economiche vissute in Occidente e la situazione occupazionale così difficile nel nostro Paese, abbiamo visto un ritorno di interesse per i lavori artigianali, nei giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Al di là della formazione ricevuta e degli studi compiuti, chi inizia un percorso di professione artigianale capisce quasi subito che si tratta di una strada bellissima e di grande soddisfazione personale nonché economica», spiegano i due stilisti. Ed ecco il sogno: che nasca un passaparola, anche attraverso i social network, che porti i più giovani ad aspirare all’artigianalità. A farla, per così dire, e a possederla. «Ci piacerebbe che tutti desiderassero abiti e accessori che hanno e raccontano una storia e che quindi possono durare nel tempo. A quel punto, davvero, potremmo fare tutto a mano, contribuendo a una sorta di rinnovato Rinascimento, dell’artigianato e della cultura».

Giulia Crivelli

Giulia Crivelli

Lavora al Il Sole 24 Ore dal 2000, seguendo soprattutto l’economia della moda e del design. Appassionata di libri ma ancor di più di animali e piante, in un’altra vita vorrebbe fare la veterinaria o la biologa. Ma in questa vita è felice di essere una giornalista e di seguire settori tanto creativi e stimolanti.

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