Il miracolo del vetro

di Jean Blanchaert

pubblicato su Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture n. 25 Settembre - 2022

Moltissimi film, pièce teatrali e opere liriche cercano di ricreare una visione del mondo antico, che suscita sempre grande fascino: e se chi guarda lo spettacolo corrisponde allo spettatore naif di cui parla Alessandro Fersen (dove naif non significa ingenuo, bensì semplicemente qualcuno che si lasci trasportare nella drammaturgia), il ritorno alla realtà sarà sempre un po’ scioccante.

Da secoli, i gesti dei maestri vetrai non smettono di affascinare i visitatori di Murano, dove dal savoir-faire di abili artigiani nascono oggetti straordinari. Fuoco amico delle mani dell’uomo: l’incandescenza delle fornaci tiene lontana la tecnologia.

 

L’esperienza del mondo antico, già così intensa nella simulazione, diventa inebriante se è vissuta dal vero. Ciò accade quando ci troviamo di fronte, ancor’oggi, a comunità ferme a secoli fa e impermeabili alle novità della tecnica, della tecnologia e, in qualche caso, anche del pensiero.

 

 

Passeggiando per il quartiere ebraico, religioso e ortodosso di Mea Shearim, a Gerusalemme, ci si trova per esempio in un’atmosfera che evoca l’Europa Orientale del XVIII secolo. Gli uomini e le donne che camminano in fretta, seguendo con sicurezza un percorso millenario abbigliati in modo elegante e arcaico, fanno restare a bocca aperta.
Una medesima sensazione coglie chi giunge sull’isola di Murano ed entra nelle sue celebri fornaci. Grazie al lavoro di mia madre, antiquaria e gallerista, ho avuto la fortuna di frequentare sin da bambino Murano, il mondo del vetro e i suoi protagonisti, i maestri vetrai. Lo stupore di cinquantacinque anni fa non mi ha ancora abbandonato e una gran parte del mio lavoro consiste nel vedere, scegliere e valutare le opere che escono dalle fornaci. Il gallerista e il curatore, anche se sono l’ultimo anello di questa magica catena, ne fanno parte in modo importante. Come a Mea Shearim, anche a Murano il tempo non è passato e i gesti sono gli stessi di secoli fa. La lavorazione del vetro, pur essendosi aperta, agli inizi del Novecento, a nuove forme e a nuove idee, ha difeso se stessa dall’avvento dei robot che oggi sono grandi protagonisti nella trasformazione anche artistica della pietra, del marmo e ultimamente persino della ceramica: alcuni maestri di questi materiali, oggi, intervengono a volte soltanto nella fase finale dell’opera.

 

 

Diverso è il caso del vetro. Nella savana, per tenere lontano un leone, si accende il fuoco: e in fornace sono i 1200 gradi della massa vetrosa modellata dal Maestro a tenere lontane le nuove tecnologie. Hic sunt leones, appunto: non si può, col vetro, programmare una forma, disegnarla, inserirla in un computer e attendere il prodotto finito o semifinito.
Ma quali sono i misteri, le prerogative idrogeologiche precipue dell’isola che facilitano e rendono straordinaria la lavorazione del vetro a Murano? Queste prerogative non esistono: l’unica grande materia prima presente è il materiale umano, il sapere e il saper fare che da più di mille anni i maestri si tramandano. Da quando, precisamente nel 1291, le fornaci furono esiliate da Venezia per i troppi incendi che avevano provocato. La territorialità muranese è meramente culturale. Qui il vetro parla ancora attraverso le trasparenze e le policromie, figlie dei rapporti della Repubblica di Venezia con l’Oriente.
Già nel XV secolo il saper fare dei maestri muranesi era considerato straordinario, unico, sinonimo di grandissimo prestigio. I più grandi potevano indossare la spada e prendere moglie fra le fanciulle della nobiltà veneziana. Il loro saper fare era un segreto di Stato, gelosamente custodito.

 

 

Oggi, una crisi epocale legata al costo del gas (e a una certa caduta generale del gusto) ha investito l’isola. Eppure, importanti artisti giungono tuttora da ogni parte del mondo per vedere le loro idee realizzate in vetro dal Maestro, dall’aiuto Maestro, dal servente, dal serventino, dal garzone e dal garzonetto. È un balletto immutato, sincronizzato e senza rete: una delle grandi meraviglie del Creato. Tutti i giorni, sculture trasparenti che hanno catturato la luce della Laguna lasciano l’isola per raggiungere collezionisti, galleristi, musei, fondazioni. A volte, il nome del Maestro non viene neppure citato, ma non sempre è necessaria una firma per riconoscere una mano, uno stile, un’intuizione. E in isola, quando il Maestro s’incammina su Fondamenta Vetrai per andare a giocare a carte con gli amici, è circondato da un’aura. Un esempio su tutti, il grande Lino Tagliapietra. Tuttora, attraverso un territorio insulare e isolato, si dà valore al materiale, si dà pregio alla lavorazione, si dà spessore alle idee artistiche. Si dà senso a un “Made in” che non è soltanto geografia, ma è anche una bellissima, seppur difficile, storia.

 

Jean Blanchaert

Jean Blanchaert

Gallerista, curatore, critico d’arte e calligrafo, da più di trent’anni conduce la galleria di famiglia fondata dalla madre Silvia nel 1957 e da sempre specializzata i n materiali contemporanei. Dal 2008 è collaboratore fisso del mensile Art e Dossier (Giunti Editore). Nel 2018 è stato curatore della sala Best of Europe di “Homo Faber”, alla Fondazione Cini, a Venezia.

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