Biodiversità artigianale

di Jean Blanchaert e Stefano Boeri

Già due milioni di anni fa, Homo habilis cominciò a usare le mani e seppe riconoscere le qualità dei vari materiali per costruirsi gli utensili. Siamo nel Medio Pleistocene. Il nostro vero antenato è però Homo sapiens, vissuto un milione e ottocentomila anni dopo, cioè duecentomila anni or sono. Celebre è l’uomo di Neanderthal, con un’intelligenza superiore a qualsiasi essere fino ad allora esistito. In milioni di anni di evoluzione, le mani hanno affinato i loro movimenti stimolando lo sviluppo del cervello e il cervello a sua volta ha richiesto alle mani compiti sempre più raffinati. L’Homo faber dell’allocuzione latina homo faber fortunae suae, cioè l’essere umano artefice della sua fortuna è anche la creatura in grado di esprimere al meglio le proprie capacità nell’immaginare, creare, fabbricare; l’essere vivente che ama costruire perché è orgoglioso del proprio lavoro e vuole realizzare in vita qualcosa di bello e duraturo. La manualità cambia ma rimane il motore di tutto.

Una selezione eclettica di opere realizzate da oltre cento maestri invita il visitatore ad apprezzare la sorprendente varietà dell’Europa artigiana. Uno spazio animato e poliedrico che valorizza la ricca diversità dei territori grazie a un linguaggio comune, quello dell’Europa di domani.

Jean Blanchaert: Nel 2018, durante la prima edizione di “Homo Faber”, nella sala “Best of Europe” arrivarono centinaia di Craft Masterpieces reperiti in tutti gli angoli del Vecchio Continente. Stefano Boeri, in piena sintonia con la curatela, inventò un allestimento ispirato a un fiume “meandriforme” che dava l’idea di attraversare tutta l’Europa, quel territorio quadrato compreso fra Islanda, Russia, Cipro e Portogallo. Per la seconda edizione di “Homo Faber”, la sala “Next of Europe” sarà il risultato di una curatela e di un allestimento molto diversi da quelli di quattro anni fa, pur essendo il curatore e l’architetto le stesse persone. Già il titolo, ideato da Alberto Cavalli, suggerisce l’obiettivo: mettere in rilievo il lavoro degli artigiani, quello che si chiama Craft Masterpiece; stimolare nei giovani il desiderio di seguire il talento delle proprie mani quando esse siano abili e capaci e apprendere un mestiere da un maestro in bottega piuttosto che correre appresso a chimere alla moda. L’imperatore Costantino aveva già capito tutto nel IV secolo, 1800 anni fa, e abolì le tasse ai maestri incisori che avessero un lavorante in laboratorio.

Stefano Boeri: Sono contento di tornare sul progetto “Homo Faber” che è stato per me fonte di grandi sorprese e suggerisco ai politici d’oggi d’ispirarsi al decreto dell’imperatore Costantino. Ho capito che anche questa volta la selezione degli oggetti è mirata soprattutto a individuare opere che abbiano una grande complessità e una sofisticazione nel lavoro di dettaglio sui materiali ma, nel contempo, siano anche funzionali. Un altro criterio di selezione è legato invece all’idea di un’officina, di una scuola dell’artigianato come pratica di rimando, di formazione, di investimento sul tempo e non soltanto sullo spazio di un oggetto. Nella costruzione dell’oggetto, spesso il maestro si fa assistere da un allievo che così impara i segreti della professione. La sofisticazione del lavoro artigianale si misura anche con un concetto antico del tempo e questa cosa è molto bella. Quello che noi abbiamo fatto è stato realizzare uno spazio diverso da quello del 2018, nel senso che nel centro di questo spazio ci saranno gli artigiani che lavoreranno sui materiali con i loro allievi. Intorno, lungo tutto il perimetro, a mo’ di cornice, ci sarà una grande scaffalatura, molto semplice, dove cercheremo di evidenziare proprio la specificità di ogni oggetto che avrà il suo spazio e le sue proporzioni.

JB: Questo nuovo allestimento porta il visitatore a concentrarsi sull’oggetto, sul Craft Masterpiece in questione. L’allestimento di Studio Boeri questa volta si basa anche molto sull’illuminazione, ogni oggetto dovrà catturare l’attenzione di chi guarda per quei 30, 70, 200 secondi. Per questo è stata studiata una sorta di “scatola magica” che attirerà come una calamita l’occhio dello spettatore sul manufatto in essa contenuto, che dialogherà con il pubblico mostrandosi e raccontandosi.

SB: Assolutamente sì. Questa scaffalatura ovviamente ha un linguaggio molto semplice, però si adatta a ospitare oggetti di forma, dimensione, peso diverso e che avranno bisogno di illuminazioni differenti; quindi, se per la prima edizione di “Homo Faber” avevamo pensato al “fiume Europa”, questo grande fiume, queste grandi onde sinuose che ospitavano le opere esposte, in questo caso portando tutto a parete, il lavoro è più, diciamo così, di campionatura. Del resto, la cosa interessante è proprio il rapporto tra la varietà formidabile degli oggetti selezionati e la flessibilità omogenea del nostro progetto che è un supporto a questa varietà. Mi ricordo una cosa che diceva Umberto Eco quando parlava dell’Europa: «L’Europa si basa sulla traduzione, se non ci fosse la pratica della traduzione non ci sarebbe l’Europa.» È verissimo, infatti proprio nella traduzione di linguaggi differenti nasce il senso stesso, il concetto stesso, se vuoi il principio culturale, il DNA dell’Europa. Io credo che alla fine quello che abbiamo fatto è stato di mostrare al visitatore, con un allestimento sobrio che però sa valorizzare le differenze, le varietà, “le traduzioni”, quest’Europa artigiana. Irlandesi, spagnoli, greci, russi o norvegesi che siano, tutti questi oggetti saranno in qualche modo portati a essere tradotti nello stesso tipo di rappresentazione, nel linguaggio di “Next of Europe”, 
lo strumento di traduzione delle varietà e delle differenze 
degli utensili.

JB: L’Italia non è il paese dove si legge di più, però è il paese dove si traduce di più e questo è molto interessante.

SB: L’Italia è anche il paese della massima biodiversità del mondo, diversità vegetale, diversità animale e quindi, in un certo senso, siamo abituati a fare i conti con questa straordinaria varietà di paesaggi, di climi, di culture, di dialetti. Questa è un po’ la nostra storia ed è bello che questo concetto di traduzione dell’Europa venga portato a Venezia, che è un pezzo della storia italiana e un pezzo della storia del mondo.

Jean Blanchaert e Stefano Boeri

Jean Blanchaert e Stefano Boeri

Gallerista, curatore, critico d’arte e calligrafo, da più di trent’anni conduce la galleria di famiglia fondata dalla madre Silvia nel 1957 e da sempre specializzata i n materiali contemporanei. Dal 2008 è collaboratore fisso del mensile Art e Dossier (Giunti Editore). Nel 2018 è stato curatore della sala Best of Europe di “Homo Faber”, alla Fondazione Cini, a Venezia.

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