Dove nasce la maestria?

di Andrea Sinigaglia

«No scusate eh! Ma venite qui, sentite che bello! Sentite che roba!» Così spesso e volentieri Gualtiero Marchesi faceva irruzione in ALMA e nelle vite di chi lì si trovava per lavoro, per studio o per destino. E ci leggeva l’ultima citazione che lo aveva colpito. Poteva trattarsi di un’artista, di un filosofo, di un antico scrittore o di un comico. Tutto si fermava e lui, il Maestro, che se l’era prontamente trascritta sul suo quaderno delle citazioni, la leggeva “con bella intonazione” come si diceva una volta; poi ci guardava, il suo volto si illuminava e diceva: «Dai… stupenda!! O no?!»

A tre anni dalla scomparsa, Gualtiero Marchesi, chef di fama mondiale e inventore della nouvelle cuisine italiana, è vivo nel cuore e nella mente di coloro che hanno avuto il privilegio di essere suoi allievi e di “assaporare” l’essenza della sua maestria.

Noi, gli astanti, risucchiati nel suo entusiasmo, letteralmente strappati dalle nostre occupazioni lo guardavamo stralunati e stupiti un po’ perché la nostra mente fino a poco prima era dedita ad altro, un po’ per il mix di emozioni dato dal ritrovarsi vis à vis con Marchesi senza avere avuto il tempo di metabolizzare il suo essere esattamente lì e tante volte intenti nel decriptare la frase da lui letta ma molto di più il motivo della sua “presa” sul nostro rettore. «Ma capite? Capite?» Incalzava lui. E noi, in gesto semiautomatico del collo annuivamo, non potevamo dire di no…

Cosa c’è alla sorgente della maestria? Questo mi piacerebbe documentare brevemente qui e adesso per tratti, per suggestioni in questo articolo dedicato a Gualtiero Marchesi, padre della moderna cucina italiana. Colui che ha fatto la storia della nostra cucina rendendola forbita, aulica e leggibile. Colui che ha dato logica e metodo a un patrimonio che grande si squadernava per tutto lo Stivale e che fino al suo arrivo non aveva avuto un punto di ordine e di sintesi. «L’improvvisazione presuppone la conoscenza della materia» – eccola una delle sue preferite – la rievocava spesso questa frase di Béla Bartók, compositore ungherese, e mentre la ripeteva con gli occhi profondi ti sfidava su uno dei suoi dogmi più radicati, ovvero che in cucina come nelle altre arti e negli altri mestieri esistono gli esecutori e gli interpreti e poi chi può permettersi il lusso di improvvisare, di essere creativo, ma sono pochi, pochissimi e lo fanno, sempre discretamente, in virtù di una grande esperienza.

L’avrò sentito ripetere questa frase centinaia di volte, anche davanti ai nostri studenti, nelle sue lezioni magistrali che partivano spesso da provocazioni così: frasi, aforismi… e la cosa bella era che lui le leggeva come se fosse la prima volta benché le sapesse a memoria, ma il saperle a memoria non costituiva motivo di possesso per Marchesi, non scalfiva l’essenza e la taglienza della parola. Le leggeva e letteralmente le fiondava, come con la fionda fa un Davide baldanzoso contro un Golia un po’ ignorante, le gettava addosso ai suoi interlocutori e poi da lì, da quella crepa nel formalismo di cui spesso può essere vittima l’atto educativo, cominciava a tessere e dipanare di vissuto, il suo. I suoi incontri, i suoi perché, i suoi maestri. Un Maestro che ti parlava dei suoi mentori, come testimoniando che non c’è altra via alla crescita che seguire uno più grande di te. Lui va per la sua strada, tu, se per un soffio hai capito che c’è un valore, il valore, lo segui. La sequela pura, quella che va oltre tutte le pre-condizioni. Come diceva Pasolini, «se qualcuno ti ha educato l’ha fatto innanzitutto col suo essere prima che col suo dire». Questa è una cosa che spesso non è compresa dall’allievo quando guarda il Maestro perché è come se al culmine della traiettoria della didattica sorprendentemente si trovi la pura libertà di uno che ha incarnato così profondamente le regole da non far più uso “né di righe né di quadretti”. Vive il suo credo, lo offre a chi sa coglierlo. Non c’è più merito né metro.

Non leziosità, non docimologia e nemmeno impianto. C’è la sete di conoscere e l’attualità dell’avvenimento. Lui era così. Libero e sicuro di una convivenza con l’oggetto della sua ricerca che glielo rendeva familiare e questa familiarità faceva fare un salto di qualità alla sua vis di conoscenza, portandolo a esplorare i mondi altri per ricondurli alla cucina. Dove nasce la maestria? Ci piace pensare, come tante volte ci sollecitava Gualtiero, che nasca innanzitutto dalla curiosità, una curiosità personalissima di un io, che si accorge di dettagli microscopici, si esalta, li mette in uno scenario più ampio, telescopico, li comprende universali e ne sviluppa un metodo che può diventare perfino stile mai dimentico di autoalimentarsi a quella fiammella quasi data per scontata ma che è una grazia del cielo, la curiosità.

A tre anni dalla sua scomparsa rimpiangiamo molte cose di lui ma in estrema sintesi ci manca tanto soprattutto la sua presenza, sempre signorile e impeccabile ma al contempo imprevedibile, a volte sorniona e venata di una nuance di alterigia ma unica, unica davvero. Camminando per la scuola, incontrando i ragazzi, si caricava della loro giovinezza, entrava in contatto con loro, c’era uno scarto di età grande e a volte il dialogo non era immediato ma lui anche solo facendosi un selfie con loro stabiliva un’empatia, entrava in relazione sebbene amasse ripetere «capisco la modernità per quel tanto che la mia tradizione me lo consente» e sinceramente mi sfugge l’autore.

Era verzura la sua, freschezza di uno che continuamente scopre ma soprattutto ri-scopre. Il tutto sempre calato in una ironia di fondo e in una auto ironia dal gusto squisitamente milanese che dava levità, quella leggerezza di cui parla Calvino, al suo studium nel senso antico di questo termine che riconduce alla passione e all’amore per l’oggetto della conoscenza.

A proposito di questo, di questa grande italianità che ci porta ad apprezzare il registro della commedia come quello più adatto a tenere viva e in equilibrio gratitudine e complessità, un giorno, al termine di una lezione nella quale avevamo letto parecchie citazioni, visto che la sessione era stata impegnativa, aprì il suo quaderno e anticipando un sorriso disse: «un’ultima cosa ragazzi… “chi ama troppo leggere le citazioni ha un evidente problema col sesso”… Woody Allen.»
«Dai stupenda! O no?!»

Andrea Sinigaglia

Andrea Sinigaglia

Laureato in Lettere alla Cattolica di Milano, ha conseguito un Master in Cultura dell’Alimentazione a Bologna e un MBA presso il MIP. Ha pubblicato: La cucina Piacentina (Tarka, 2016), Gusto Italiano (Plan, 2012) e Il vignaiolo. Mestiere d’arte (Il Saggiatore, 2006). Dal 2004 insegna Storia della Cucina italiana presso ALMA, dove, dal 2013, è direttore generale

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