Elogio della lentezza

di Simona Segre Reinach

fotografie di Susanna Pozzoli

Il testo che segue è la sintesi di una conversazione con Giovanni Bonotto su Fabbrica Lenta e sul rapporto tra
arte, design e manifattura.

Fabbrica Lenta è nata nel 2017 per mettere ordine in cose che erano successe nella vita della mia famiglia. Il mio papà Luigi cominciò a ospitare gli artisti negli anni Settanta in casa e in fabbrica. In quegli anni tutto si mescolava, nascevano video arte, happening e performance. Essendo la nostra una manifattura c’erano l’officina, gli elettricisti, il tornio e tutto ciò che poteva servire agli artisti per sperimentare. Conserviamo duecento poster autografati delle azioni di Joseph Beuys, a testimonianza dell’opera. Ricordo ancora John Cage e Philip Corner che catturavano i suoni sequenziali della fabbrica in produzione – così è nata la techno music.

Competenza manifatturiera, sperimentazione, i tempi lunghi del lavoro artigiano. Fabbrica Lenta realizza manufatti unici, dove arte e perizia si fondono in un’officina creativa e produttiva, sostenuta da un’etica controcorrente.

Da questa biodiversità, dall’ospitare persone molto diverse da noi, si è creato un humus culturale che ci ha destrutturato il pensiero. Gli artisti, oltre trecento sono passati di qui, ci hanno regalato un atteggiamento mentale, ci hanno messo gli “occhiali della fantasia”. Abbiamo visto i veri grandi artisti, noi siamo piccolissimi artisti che vorrebbero lavorare a regola d’arte per produrre oggetti d’arte. Una fabbrica d’arte. Siamo in duecento – non è mai rose e viole, non basta l’idea, ci vogliono le persone che abbiano l’amore per eseguire i prodotti, altrimenti resta un fatto teorico. Fabbrica Lenta mette al centro le persone e il fare. È la cultura delle mani, una cosa non viene mai fuori subito, bisogna provare e riprovare, ricominciare da zero.

I telai degli anni Cinquanta richiedono maestria e sensibilità manufatturiera. Regolandoli a mano riesci a tessere degli intrecci che le macchine standardizzate non sanno più fare. Bonotto è una manifattura che dà reddito e stipendio, ma è anche un’industria culturale dove formalizziamo delle idee, che sono il nostro vero tesoro. È dura lavorare in fabbrica otto ore al giorno, ma se vedi il tuo prodotto nelle vetrine di Chanel, Gucci, Balenciaga, Louis Vuitton e sai che l’hai fatto tu perché ti sei incaponito nel trovare una soluzione, è una soddisfazione che non ha pari. Senza le mani intelligenti sostenute dalla passione e dall’amore noi non riusciremmo a produrre. I più anziani sono orgogliosi di insegnare ai giovani e i giovani sono bravissimi perché si appassionano. Ho passato tanti anni della mia vita a viaggiare in cerca di materie prime autentiche e originali. Per esempio, ho imparato a tessere le coperte di lana da una tribù berbera sui Monti Atlas. Rick Owens se ne è innamorato e ne ha fatto una collezione.

Non siamo solo una fabbrica che sa fare cose complicate, siamo un organismo intellettuale e produttivo “in wifi” con il mondo. Benissimo i telai del 1956, ma non siamo Mastro Geppetto, abbiamo anche il telaio digitale. Tu da New York mi chiedi una lavorazione speciale, noi dopo due ore te la mandiamo per email – oppure condivido lo schermo e la costruiamo insieme. La Bonotto attrae clienti e designer del lusso da tutto il mondo. Vengono a vedere come vediamo la moda noi. Con il mio team condivido l’ambizione di credere che qui nascano molti trend. Abbiamo storie meravigliose che raccontiamo in un linguaggio contemporaneo. Dobbiamo far sì che anche i nuovi ricchi del mondo si innamorino del nostro DNA.

La Bonotto spa è l’entrata industriale. A pari merito c’è la Fondazione Bonotto nata nel 2013: due entrate separate che si uniscono e si sostengono reciprocamente. Il lato intellettuale e culturale diventa progettuale. La Fondazione ospita artisti e si proietta all’esterno: con il Centre Pompidou di Parigi abbiamo lanciato un premio per nuove forme di letteratura contemporanea; al Palais de Tokyo siamo stati ospiti per tre mesi, lo stesso a Londra alla White Chapel. In occasione delle prossime Olimpiadi di Tokyo stiamo organizzando un evento straordinario.
Nel 2017 Zegna è entrato come azionista nella Bonotto portando in dote la disciplina industriale internazionale, che è oro per duecento persone che fanno i Maestri artigiani e producono tessuti con spirito artistico.

Nel 2019 Bonotto Fabbrica Lenta è stata insignita del Green Carpet Award come Sustainable Producer dalla Camera Nazionale della Moda Italiana: abbiamo ricoperto il colonnato della Scala di Milano con l’arazzo di un giardino tropicale di plastica interamente riciclata. Nel 2020 abbiamo ricevuto il premio Première Vision Fabrics Fashion Smart Creation per aver tradotto i codici del lusso nella cultura del riciclo e della tracciabilità. Questo siamo oggi. Siamo qui con tanta fatica, ma anche con tanta voglia di portare avanti questa storia. Per noi fare arte e lavorare è la stessa cosa. Vogliamo essere una comunità di persone. •

Simona Segre Reinach

Simona Segre Reinach

Professoressa associata all’Università di Bologna, dirige la rivista Zonemoda Journal. Ha scritto saggi sulla globalizzazione e sulla curatela della moda, ha curato mostre e allestimenti. La sua più recente pubblicazione si intitola Biki. Visioni francesi per una moda italiana (Rizzoli, 2019).

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