Il barocco addosso

di Andrea Tomasi

Roma, metà anni Sessanta. Il fermento culturale, gli afflati libertari, quella vita bohémienne che per tanti giovani era la risposta al conservatorismo dei genitori, si danno appuntamento in Piazza Navona. È qui che gli artisti della Capitale si incontrano per disegnare un glorioso nuovo futuro: tra loro, un ventunenne iscritto ad Architettura che agli esami di Statica preferisce la pittura e sogna in grande. «Che anni meravigliosi, di creatività e curiosità,» ricorda oggi Diego Percossi Papi con la malinconia di chi ha vissuto.

Nato e cresciuto nella città della Grande Bellezza, Diego Percossi Papi trasforma l’amore per la cultura in mestiere d’arte. Talento naturale, si avvicina al mondo degli oggetti preziosi da autodidatta, capace di rinnovarsi senza sosta. Istinto, emozione, intuizione sono l’anima del suo estro e della sua generosa creatività.

«Devo ringraziare i miei genitori, furono loro ad avvicinarmi all’arte, alla cultura. Mamma a 8 anni mi regalava i libri di Dostoevskij e Tolstoj, le fiabe russe illustrate da Ivan Bilibin, mi trascinava in giro per musei o corsi di restauro. A tratti mi annoiavo, ma quel bagaglio si sarebbe rivelato fondamentale per la mia formazione professionale.» Come fondamentale fu l’incontro con Turi Spadaro, insegnante d’arte in un liceo: fu lui a introdurre Percossi Papi a quell’universo dei metalli che sarebbe diventato il suo mezzo espressivo. «Mi mise a disposizione il suo studio per compiere delle sperimentazioni: iniziai a prendere confidenza con metalli e smalti completamente da autodidatta, dedicandomi soprattutto alla scultura. Utilizzavo metalli poveri, abbordabili non solo dal punto di vista economico ma anche sotto l’aspetto tecnico, perché io non avevo alcuna nozione, tutto ciò che imparavo lo imparavo sul campo.» L’approdo al gioiello fu una svolta naturale.

«A un certo punto, dopo diverse mostre in giro per il mondo, capii che non volevo essere un artista gestito dalle gallerie, sempre sotto la lente della critica, prigioniero dei gusti e delle mode. Il rapporto con i clienti che visitavano l’atelier di Sant’Eustachio mi portò a scegliere il gioiello. Mi affascinava l’idea di creare opere d’arte indossabili e godibili nella vita quotidiana, piuttosto che oggetti statici da appoggiare su un mobile e guardare di tanto in tanto. Cominciai a utilizzare pietre preziose e semipreziose, cammei e miniature, affinai la tecnica degli smalti e del cloisonné sempre da autodidatta, studiando testi antichi, osservando i gioielli romani, etruschi, rinascimentali e barocchi esposti nei musei o raffigurati nei dipinti. Come da bambino, mi perdevo ad ascoltare alla radio i racconti mitologici, così ogni gioiello antico era come se mi raccontasse la sua storia e lasciasse la sua impronta dentro di me. E poi c’erano le architetture di chiese, palazzi e monumenti che i miei studi mi aiutavano a leggere meglio, quelle facciate meravigliose ricche di volute e decori.

La Roma del Bernini e del Borromini ha guidato e guida tuttora la mia mano.» I gioielli di Percossi Papi abitano rapidamente film e pagine di giornale, l’atelier di Sant’Eustachio diventa un crocevia di clienti e fedelissime. È lì che nel 1989 entra un gruppo di russi al seguito di Mikail Gorbaciov, ai tempi Segretario Generale del Partito Comunista sovietico in visita di Stato. «Cercavano creativi italiani da far collaborare con realtà russe, dopo qualche settimana mi ritrovai su un aereo per San Pietroburgo, ai tempi Leningrado, dove ha sede la Russkie Samotsvety, manifattura gioielliera fondata dagli zar. Prima di mettermi al lavoro chiesi un paio di giorni per scoprire la città, catturarne lo spirito. Visitai Leningrado, i suoi musei, i suoi palazzi e le sue strade, poi mi misi a disegnare. Ricordo ancora il silenzio dei dirigenti della manifattura mentre osservavano i miei schizzi, interrotto dalla designer responsabile che disse compiaciuta: “Assolutamente russo!”. Fu l’inizio di una lunga e feconda collaborazione.

Ho sempre pensato che dalla contaminazione di due culture ne nasca una terza, quando faccio riferimento a mondi che non sono i miei non cerco di copiarli, ma li guardo attraverso la mia lente. I disegni che nascono sono la mia fantasia, il mio sogno di quella cultura. Prima di partire mi regalarono un libro su Bilibin, quello stesso illustratore delle fiabe della mia infanzia. Fu una folgorazione, in quell’istante capii il perché del mio amore per gli smalti e per il colore.»

E il punto di partenza di ogni creazione di Percossi Papi è proprio il colore. «Il colore è emozione, ci si veste di colori, poi vengono la forma e la funzione. Quando realizzo un nuovo gioiello so che devo mettere in armonia tre elementi: le aspettative e i desideri di chi ha commissionato il lavoro, la mia visione creativa e il rispetto per i materiali, che siano metalli o pietre. Tra i primi, quello che prediligo è senza dubbio il rame, che ha tutte le caratteristiche dell’oro ma è più flessibile. Tra le pietre ho invece una mia personalissima classifica: in cima ci metto la giada, usata dagli albori dei tempi, poi vengono l’opale, i rubini, le agate e gli zaffiri.» È dalla fusione di questi elementi che nascono preziosi unici, in cui è possibile rintracciare distintamente frammenti di una Roma bellissima. «È il messaggio quotidiano che trasmetto ai miei figli Valeria e Giuliano che oggi lavorano con me e mia moglie Maria Teresa: non c’è frutto senza radici, e le mie radici sono indissolubilmente legate a quelle di questa città.» •

Andrea Tomasi

Andrea Tomasi

Laureato in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo a Bologna, inizia la sua carriera come critico cinematografico. Dopo aver lavorato come caporedattore per diversi settimanali, nel 2018 inizia la sua collaborazione con la Michelangelo Foundation per la realizzazione della prima edizione di “Homo Faber”. Dal 2020 dirige la “Homo Faber” Guide, una piattaforma online che consente di scoprire artigiani d’eccellenza in Europa e in altri Paesi extra-europei.

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