il gioco della bellezza

di Antonio Mancinelli

fotografie di courtesy Dolce&Gabbana

pubblicato su Mestieri d’Arte & Design. Crafts Culture n. 26 Aprile - 2023

Gioco, cultura, esperienza. Il saper fare come laboratorio di gioiose sperimentazioni. Da oltre dieci anni, gli eventi di Alta Moda, Alta Sartoria e Alta Gioielleria di Dolce&Gabbana sono espressioni non solo del savoir-faire italiano ai suoi massimi livelli, ma anche il dipanarsi di una narrazione di moda che ha più a che fare con la meraviglia della fiaba che con il realismo della cronaca.

Le scultoree collezioni di Dolce&Gabbana sono il prodotto di una creatività audace ma giocosa, suggerita anche dall’espressiva matericità dei tessuti preziosi. Una ricerca estetica che si nutre di storia e storie del nostro Bel Paese e sul suo savoir-faire d’eccellenza.

 

E la meraviglia rappresenta la fonte primaria del gioco, la matrice originaria di una conoscenza da apprendere secondo i dettami di San Tommaso D’Aquino, che affermava: «Coloro che non giocano mai e non dicono mai qualcosa di gradevole peccano contro la verità» o portava il filosofo tedesco Johan Huizinga a scrivere nella prefazione di Homo ludens che «la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco.» Inoltre – continua Huizinga – il gioco ha rapporti col bello e col ritmo, con l’armonia e con l’arte. Esso rimane come isolato dalle altre forme di pensiero, è un’attività libera e non può essere imposto né da necessità fisica né morale, si pone come alternativo alla vita ordinaria. Nel concetto di ludico c’è inventiva, estro, audacia. Si delinea così una modalità di conoscenza che si può definire “estetica”, ed è diversa da scienza e filosofia.

 

 

Nell’estetica, l’apparenza e la razionalità sono strettamente connesse e unite da vari ponti culturali, in una dialettica dove ogni argomento si riflette nel suo opposto e contrari. Ma non è fondamentale che vi sia gara, competizione, voglia di primeggiare: l’elemento di comunanza tipico del gioco, per cui Platone l’avvicinava alla musica, alla danza, esula dalla contrapposizione di uno a un altro. L’esperienza del gioco non è solo di un “partecipare”, ma di un “far parte di”, è il rapporto di un’essenziale ricerca identitaria di un Paese come di un individuo. Da persone “serie” pensiamo spesso ai creativi d’alto lignaggio come Domenico Dolce e Stefano Gabbana attribuendo loro il compito del couturier come professionista tanto compassato quanto onnipotente, mentre gli artefici della Bellezza sono fantasiosi, originali, capaci di realizzare e di far realizzare con le mani veri e propri capolavori portatili, siano abiti, gioielli, orologi, accessori.

 

 

A tutto questo, si aggiunge anche un tratto che trasforma il pensiero creativo in azione connessa al genius loci di ogni città dove si svolgono i loro maestosi défilé: l’ultimo si è svolto a Siracusa, ma prima c’è stata Venezia, Palermo, Agrigento, Capri, Portofino, Como, Napoli, Milano… Una sorta di Grand Tour ottocentesco dove «vogliamo raccontare uno stile di vita e far vivere ai nostri clienti, amici e alla stampa internazionale un’esperienza unica; siamo felici di dare la possibilità di conoscere il meglio che l’Italia ha da offrire,» hanno dichiarato i due designer. Condizione necessaria perché al gioco si aggiunga il sapere è la presenza di interlocutori. In ogni città dove sono state presentate le collezioni che celebrano il saper fare, s’intessono conversazioni con chi ha fatto del lavoro manuale la sua ragione di vita che Dolce&Gabbana spingono a superare i propri limiti, invitano a “mettersi in gioco” con loro, per l’appunto. «Per noi è importante che le collezioni siano una narrazione del posto e non estemporanee. Troviamo la location, ne studiamo la storia, la geografia, le leggende, le tradizioni, la cucina. Non tralasciamo nulla. Vogliamo sapere, conoscere tutto quello che c’è attorno, oggi, ieri e sempre.

 

 

La scelta del tema di collezione va quindi in parallelo con il luogo che abbiamo scelto.» A Venezia, per esempio «mai avremmo saputo come rendere su di un abito l’effetto di un vetro molato se non lo avessimo visto fare. Per le creazioni ispirate alle lavorazioni di Murano, c’è stato uno sperimentare ogni giorno. Ogni attimo. Anche aggiungendo o sottraendo, consapevoli che non tutto si può fare, come l’abito interamente in vetro che era troppo delicato per andare in passerella. Ma allo stesso tempo siamo riusciti a realizzarne quattro che sembrano bicchieri di cristallo.» Mostrare il miracolo nel quotidiano, far scivolare il senso di un oggetto in un altro contesto è pratica difficilissima da concretizzare, ma che Dolce&Gabbana porta avanti con soave ostinazione. Con la loro metodologia progettuale, infatti, sottendono che l’ironia e il gioco siano da un lato esercizi estetici che si fissano nel ricordo come eventi sensibili, esperienze emotive e spirituali e le rappresentazioni che ne vengono prodotte sono quindi cultura che può essere tramandata.

 

 

Dall’altro lato il gioco possiede una essenziale proprietà che consente la ripetizione, di riprendere nuovamente quella regolarità, cioè le regole del gioco sono una costante di cui le molte partite sono tante varianti. Quindi anche ciò che rende costante un gioco, le sue regole, si fissa e si tramanda come cultura. Cultura del sapere e del saper fare, erede di una competenza che permette anche un’interpretazione dell’artigianato come forma di costante tensione evolutiva. Adottare una metodologia ludica non vuol dire annullare l’impegno, ma attivare una ricerca dell’interessante.

 

Antonio Mancinelli

Antonio Mancinelli

Giornalista professionista dal 1991, è stato caporedattore di Marie Claire fino a luglio 2021. Ora collabora con Repubblica, D-La Repubblica delle Donne, Amica, Amica.it, Il Foglio e altre testate editoriali. Attento osservatore della moda come riflesso della società e dispositivo politico atto a spiegare le mutazioni culturali, ha insegnato e insegna in atenei pubblici e privati.

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