La maestà della musica

di Giuditta Comerci

fotografie di Archivio Fratelli Ruffatti

La collocazione dell’organo a canne, nelle chiese e spesso anche negli auditorium, consente raramente di vedere il modo in cui viene suonato, tra tastiere multiple e pedaliera; ancora più raro è che chi ascolta possa addentrarsi nella sua articolata cassa o scoprirne il complesso funzionamento che, col suono di un accordo sulla tastiera, attiva contemporaneamente anche più di cento canne.

Da tre generazioni la famiglia Ruffatti progetta, restaura e costruisce maestosi organi a canne la cui musica risuona nelle chiese di tutto il mondo. Un incessante percorso di ricerca e innovazione tra passione, dedizione e grande vocazione al dettaglio.

A questo strumento e a tutti i suoi aspetti artistici e costruttivi si dedica dal 1940 la famiglia Ruffatti di Padova. Nasce sulle solide basi di una prestigiosa scuola veneziana del XVIII secolo e continua come trasmissione di passioni e competenze, passate dai fondatori Alessio, Giuseppe e Antonio ai figli di quest’ultimo, Francesco e Piero, e ora allargata alla terza generazione con Michela, figlia di Piero. Francesco e Piero, nel corso degli anni, hanno affinato le loro vocazioni: la progettazione strutturale per Piero, e la parte più legata alla musica per Francesco, ovvero la costruzione fonica dello strumento, la progettazione dimensionale dei registri di canne e l’intonazione delle stesse dopo l’installazione dell’organo.
L’attenzione dei Ruffatti viene posta su ogni momento del processo progettuale e produttivo che, diversamente da gran parte delle ditte organarie italiane ed estere, avviene quasi interamente nel loro laboratorio padovano. Si tratta di una scelta di coerenza e controllo che fonda la qualità del loro lavoro e la garanzia di una manifattura made in Italy pienamente intesa: scelta dei materiali – con impiego e immobilizzazione delle risorse per il deposito del legno per cinque anni di stagionatura –, lavorazione di tutte le componenti principali dell’organo, canne ad anima e ad ancia, di legno e di metallo, somieri, consolle, mantici.

La costruzione di un organo a canne Ruffatti è caratterizzata da un’altissima incidenza di mano d’opera, stimata al 75-80% del totale, che raggiunge il 90-95% nel caso di restauri di organi antichi. I macchinari utilizzati sono annoverati tra i più comuni per la lavorazione del legno – quindi nella costruzione di somieri che contengono i meccanismi di azionamento delle canne, della cassa dello strumento, delle canne lignee, dei mantici e di altre parti – e per la piallatura delle lastre di metallo (fuse in ditta anch’esse), ma anche macchinari spesso realizzati su disegno o con modifiche degli stessi utilizzatori. Questo perché il campo dell’organaria, differentemente da quello di molti altri strumenti musicali, è quasi totalmente privo di standardizzazione: «ogni organo – spiegano Piero e Francesco Ruffatti – è diverso dall’altro; dunque è aperto a nuove soluzioni tecniche che via via si presentano e si rendono disponibili, oltre che, dal punto di vista fonico, alle mode del momento, per repertori e per sonorità e possibilità combinatorie.» Ciò che sorprende particolarmente di questa ditta è la ricerca scientifica. La stabilità è un problema costante per gli organi a canne, beni durevoli realizzati soprattutto in legno, soggetti a cambiamenti climatici, usura, inquinamento, che incidono sull’aspetto estetico quanto più su quello funzionale dello strumento: i Ruffatti, nella loro espansione internazionale, affrontano climi differenti unendo al gusto artistico per un tipo di suono e di architettura, una ricerca costante sui materiali.

Hanno adottato dunque il mogano “sipo” per la sua inferiore capacità di contrazione ed espansione, scelto personalmente all’arrivo dall’Africa per la garantita certificazione di provenienza; la lega di carbonio per i fili di collegamento interni, materiale che non subisce alcuna alterazione dal clima; le pelli conciate in modo tradizionale, costose e difficili da reperire, ma che garantiscono la durata per tempi molto superiori ad altri trattamenti. Un approccio fortemente moderno che affianca strumenti, procedimenti e formazione con fortissime radici nella tradizione. «Ci sono parametri indiscutibili: i materiali utilizzati, il modo in cui si lavora, sono legati strettamente al prodotto e su questo si è molto poco flessibili» spiegano. L’apertura è invece ampia nell’ottica generale dello strumento e delle richieste del committente; la relazione è fondamentale e stimolante, sviluppa ricerca, apertura, innovazione: tratti del made in Italy che sembrerebbero stranamente applicabili a una casa organaria, mentre i Ruffatti li sposano pienamente.

Nel loro sviluppato rapporto con l’estero, il modo italiano è segno di disponibilità nell’ascolto delle esigenze, di flessibilità nel trovare soluzioni a problematiche e richieste, e al contempo di severità nel mantenere i tratti qualitativi e artistici del proprio lavoro. È la miglior firma italiana: la più grande agilità e un virtuoso rigore.

Giuditta Comerci

Giuditta Comerci

Ricercatrice e curatrice di eventi culturali, è direttore artistico dell’Associazione Noema per lo studio e la promozione della cultura musicale. È cultore della materia Mestieri d’arte e bellezza italiana al Politecnico di Milano dal 2015 e coautrice de Il valore del mestiere (Marsilio, 2014).

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