La passione di padre in figlia

di Giulia Crivelli

fotografie di Laila Pozzo

«Il 2020 è stato l’anno che sappiamo. Ha messo tutti a dura prova, da innumerevoli punti di vista, e sul futuro a breve termine abbiamo poche certezze. Eravamo tutti, persone, aziende, Paesi, credo, impreparati alla tempesta che ci ha colpiti, ma perdere mio papà in un anno così ha significato attraversare la mia tempesta personale all’interno di quella più grande. In qualche modo ho resistito e questo mi ha dato forza.

La figlia del grande Maestro del ricamo Pino Grasso, recentemente scomparso, esalta la continuità e l’unicità dell’attività di famiglia. Anche in tempo di crisi, l’amore per il proprio mestiere e le mani sapienti dell’uomo sono un’arma essenziale per la rinascita.

Certo, sono stanca: la passione per il mio lavoro, che ho ereditato proprio da mio padre Pino Grasso e che non ho mai smesso di coltivare, mi aiuta e spero che la nostra azienda e la mia famiglia escano dalla tormenta più consapevoli del loro valore, se non più forti in senso stretto.» Raffaella Grasso sintetizza così il periodo che abbiamo vissuto e stiamo ancora attraversando, sottolineando la continuità che cerca di preservare, tra quello che il padre ha costruito in tanti anni di lavoro e ciò che lei, ora alla guida dell’azienda artigiana di Milano specializzata in ricami di altissima qualità, immagina per il futuro.

La storia dell’atelier inizia nel 1967, quando Pino Grasso, che dall’età di 27 anni aveva scoperto il fascino del ricamo, decise di aprire il suo laboratorio a Milano. Aveva già molte esperienze e scelte di vita alle spalle. «Ci fu un tempo in cui il destino di mio padre era sembrato molto diverso. Dopo il liceo si era iscritto a medicina e per un anno aveva seguito le lezioni,» ricorda Raffaella. «Credo che la fascinazione per chi riesce a curare le malattie e alleviare il dolore delle persone gli sia rimasta per tutta la vita, ma dopo un anno di studi capì che non avrebbe potuto essere un buon medico, che non avrebbe retto l’esposizione al dolore fisico e ai corpi feriti. Così accolse l’offerta di un amico che aveva un laboratorio di ricamo e iniziò a fare pratica e a studiare, tra l’Italia e Parigi.»
Nel giugno 2020 Pino Grasso è mancato e Raffaella ha assunto la gestione dell’atelier, oltre alla responsabilità della parte creativa. «Penso che la pandemia ci abbia spinti a guardare all’essenza delle cose, nella vita e nel lavoro. Per questo non ho remore a paragonare il nostro atelier a una grande famiglia: abbiamo circa 20 dipendenti diretti e altri 6 che lavorano da casa. Al di là degli aiuti arrivati dalle istituzioni, abbiamo cercato di darci forza a vicenda e di continuare a lavorare e a farci venire idee anche durante la pandemia. Nel 2020 abbiamo perso circa il 50% del fatturato e ovviamente siamo spaventati per il futuro. Ma abbiamo le armi di sempre: la passione per il nostro lavoro e la consapevolezza della nostra unicità e del know-how tramandato da decenni di persona in persona.»

I clienti dell’atelier Pino Grasso sono, da sempre, i più importanti stilisti e Maison dell’alta gamma: con Valentino Garavani il fondatore ebbe tutta la vita un rapporto di amicizia, oltre che di lavoro. Lo stesso vale per i protagonisti della moda italiana e francese dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri. Poiché gli artigiani parlano una lingua ancora più unica e particolare di quella degli stilisti, Pino Grasso strinse amicizia anche con il concorrente francese per eccellenza, François Lesage, titolare di quella che, persino oggi che è di proprietà di Chanel, resta tra i più famosi atelier di ricamo al mondo. «Lavoriamo con tutti i grandi brand e negli ultimi vent’anni sono cambiate tante cose, lo sapeva mio padre e posso ovviamente confermarlo. Non è solo la nascita dei due grandi gruppi del lusso, LVMH e Kering: sono diverse le logiche distributive e di comunicazione, stravolte dalla rivoluzione digitale. Ma forse la pervasività della tecnologia è una buona notizia per i lavori manuali e l’alto artigianato. I nostri sono saperi e capacità creative che non si possono insegnare a un computer né possono essere guidati da un algoritmo o da una nuova forma di intelligenza artificiale. Le uniche mani sapienti sono quelle dell’uomo. O meglio, delle donne, quasi sempre, nel nostro settore. Per questo voglio essere ottimista: se usciremo dall’emergenza sanitaria e economica legata alla pandemia, gli atelier come il nostro resteranno unici.»

Non è un caso se prima dell’arrivo del Covid, Raffaella e suo padre ricevevano molte richieste di giovani per partecipare ai corsi di formazione e iniziare il (lungo) percorso per imparare l’arte del ricamo. Che richiede creatività, ma anche disciplina, pazienza e la consapevolezza di dover alternare fasi ripetitive a quelle più originali. «Resto convinta che fare il nostro lavoro sia un privilegio e che concentrarsi sull’uso sapiente delle mani sia un’ancora di salvezza, emotiva e persino economica, in tempi di crisi,» è il messaggio finale di Raffaella Grasso, che suo padre Pino – straordinario Maestro, tra i primi MAM identificati dalla Fondazione Cologni – sicuramente sottoscriverebbe.

Giulia Crivelli

Giulia Crivelli

Lavora al Il Sole 24 Ore dal 2000, seguendo soprattutto l’economia della moda e del design. Appassionata di libri ma ancor di più di animali e piante, in un’altra vita vorrebbe fare la veterinaria o la biologa. Ma in questa vita è felice di essere una giornalista e di seguire settori tanto creativi e stimolanti.

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