Le cose più belle stanno in equilibrio

di Elisabetta Nardinocchi

Quando, parlando dell’artigianato artistico fiorentino, si sottolinea il senso forte e mai sopito di un’antica tradizione, si esprime non tanto una sensazione, quanto un dato oggettivo e documentabile storicamente, strettamente legato alla volontà di trasmettere e così rinnovare i propri saperi di generazione in generazione. E se questo si può dire dei mestieri artigiani in genere, in alcuni centri di produzione, e a Firenze in modo esemplare, questo si rende particolarmente manifesto. Fin dai tempi antichi le botteghe d’arte della città sono state ben attente a non disperdere, al di fuori della ristretta cerchia costituita dalla famiglia e dai lavoranti, il proprio patrimonio fatto di utensili, tecniche di lavorazione e modelli (così come di rapporti con i committenti), fino ad arrivare alla consuetudine di far sposare, alla morte del titolare dell’impresa, la vedova al più promettente degli aiuti.

Solo grazie alla maestria più raffinata e a uno speciale estro creativo è possibile oggi realizzare oggetti preziosi senza tempo, in cui echeggia tutto il fascino dell’antico, ma in una visione contemporanea. Solo reggendosi sulle solide radici dell’esperienza e del sapere tramandati da generazioni è possibile spiccare il volo verso inediti traguardi.

Se quest’ultimo caso non è certo applicabile per il laboratorio di oreficeria e gioielleria Pestelli, certo è che per altre e diverse vie si può ricostruire come una lunga tradizione sia confluita nei locali che ancora oggi lo vedono attivo, sotto la guida di Tommaso Pestelli, negli antichi ambienti di borgo Santi Apostoli, nel centro storico di Firenze. L’insegna della ditta annuncia un’attività avviata nel 1908, quando appunto Edoardo Pestelli (1874-1965), bisnonno dell’attuale proprietario, rilevò un negozio di gioielleria in via Strozzi, specializzandosi nella produzione di raffinati monili e arredi in oro e argento, con lavorazioni a mosaico, pietre preziose e dure, nonché perle e coralli (questi ultimi fortemente caratterizzanti la prima produzione), chiaramente ispirati a forme antiche e tradizionali. Ovviamente, nel condurre la sua impresa, Edoardo Pestelli non si era improvvisato, ma aveva portato con sé esperienze consolidatesi nel secolo precedente. Sua sorella Elvira, infatti, aveva sposato, nel 1893, Gino Marchesini, ultimo erede di una bottega orafa della quale abbiamo notizie fin dal 1784 e che per tutto l’Ottocento si era distinta tra le più importanti, originali e innovative della città, con negozi a Firenze e a Roma, pluripremiata alle esposizioni e soprattutto gratificata da importanti commesse da parte delle case regnanti succedutesi prima al governo del Granducato, poi a quello della Nazione.

Nei primi decenni del Novecento la ditta aveva tuttavia conosciuto lutti e momenti di grave difficoltà che l’avevano costretta a vendere i negozi e a trasformarsi in una società a nome collettivo, così da portare Gino Marchesini a tutelare la propria storia lasciando al cognato, già formatosi come orafo, i calchi in gesso, i modelli in piombo, gli stampi in ferro e tre album di disegni, cioè tutto quanto aveva segnato la sua fortuna. Di particolare rilievo appaiono proprio i modelli, visto che l’autore, Camillo Bertuzzi, già al servizio dei Marchesini nel loro momento di maggiore espansione, è da riconoscere come uno degli esponenti più importanti, a livello internazionale, della gioielleria ottocentesca. Questo patrimonio è ancora oggi custodito dalla famiglia Pestelli, e testimonia dell’appartenenza a una storia, a una tradizione che non può essere dimenticata e che ha segnato l’evoluzione del laboratorio per tutto il Novecento.

Attorno al 1920 era entrato in “bottega” anche il dotato Francesco (1902-1987), uno dei figli di Edoardo, che diventerà presto il mandatario generale dell’impresa familiare; a lui seguiranno Luigi, fratello di Francesco, e un secondo Luigi figlio di Francesco, fino all’attuale gestione di Tommaso Pestelli, bisnipote di Edoardo e rappresentante della quarta generazione di questa famiglia di orafi e gioiellieri. Nel frattempo il negozio si era trasferito da via Strozzi a via Tornabuoni, per poi tornare in via Strozzi e approdare infine in borgo Santi Apostoli portando con sé, oltre all’eredità dei Marchesini, un altro fondamentale insegnamento lasciato dai padri: avvalersi sempre e solo di artigiani di grande abilità, capaci di trasferire la propria esperienza e il proprio sapere alle nuove generazioni. Tra questi sono da ricordare l’orafo Ferdinando Ilari, il cesellatore Marcello Rovini, i Tagliaferri padre e figlio, esperti incisori di gemme e incassatori di pietre, e infine Tonino Batacchi, a sua volta maestro e mentore di Tommaso Pestelli. E così Tommaso Pestelli da una parte ha seguito gli insegnamenti dei suoi padri, dall’altra è andato riscoprendo la tradizione fiorentina tardo cinquecentesca fatta di quelle fantastiche figure zoomorfiche che sempre l’hanno affascinato, e ancora vi ha unito l’estro e la creatività che gli vengono dagli studi come scultore e dai suggerimenti della moglie Eva Aulmann, affermata artista nel modo della grafica d’arte.

Tra i clienti che hanno segnato la vita della ditta nel corso del Novecento sono da annoverare i Savoia, i reali di Romania, il vice Re d’Egitto, il Vaticano… e ancora, per venire ai nostri giorni, dal 2010 alcune delle più prestigiose realizzazioni Pestelli sono esposte al Museo del Tesoro dei Granduchi in Palazzo Pitti (già Museo degli Argenti). Nel 2011 la ditta è stata riconosciuta Impresa Storica d’Italia e nel 2018 ha ricevuto il premio “DNA Artigiano” per i suoi 110 anni di attività. Le opere che ancora oggi si formano sotto le abili mani di Tommaso Pestelli sono belle e senza tempo, caratterizzate da un’attenta scelta delle pietre e da una lavorazione accuratissima che rende vive le molteplici varianti zoomorfe del suo repertorio, fatto di pesci e ranocchi, civette e polipi. «È il regno del sogno, dell’irrazionale e del mitico – sottolinea l’orafo – che prende forma in oggetti che reputo ben riusciti solo nel momento in cui riesco a bilanciare l’elemento naturale (la bella pietra, il bel colore, le belle trasparenze) con l’elemento dell’artificio che ho plasmato: nessuno dei due deve prevalere sull’altro. Le cose più belle stanno in equilibrio».

Elisabetta Nardinocchi

Elisabetta Nardinocchi

Storica dell’oreficeria e delle arti minori, è direttrice del Museo Horne. Dal 2011 è inoltre curatrice della Casa di Giorgio Vasari a Firenze. Al suo attivo ha numerose pubblicazioni, collaborazioni a mostre di settore e docenze all’Opificio delle Pietre Dure e all’Università degli Studi di Firenze.

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