Le maioliche dei Farnese

di Valentina Mazzotti

Nel corso del Rinascimento prelati, principi e notabili di tutta Europa dotarono le loro dimore di splendidi servizi (“credenze”) in maiolica, che spesso furono preferiti al ben più pregiato vasellame in metalli preziosi, complice la diffusa opinione che i cibi avessero un «migliore sapore nei piatti di terra che in quelli d’argento», come riferisce Giuseppe Campori nelle sue Notizie storiche e artistiche della maiolica e della porcellana di Ferrara nei secoli XV e XVI (Modena 1871, p. 25).

Sensibili estimatori dell’arte ceramica, i Farnese furono importanti committenti delle più fiorenti botteghe maiolicare del Cinquecento. I servizi delle loro ricchissime collezioni costituiscono ancora oggi un’affascinante rassegna degli stili figurativi in voga nel Rinascimento. Il MIC di Faenza custodisce alcuni pezzi commissionati dai Farnese che, tra tecniche all’avanguardia e segreti del mestiere,
raccontano un’eccellenza italiana da riscoprire.

La credenza era dunque la più tipica espressione del vasellame di pregio (“da pompa”) della produzione del xvi-xvii secolo, imbandita sulla tavola in occasione di importanti banchetti per celebrare il fasto e il potere del dignitario e del suo casato, anche attraverso la presenza delle divise araldiche della nobile famiglia. Al fascino delle credenze maiolicate fu particolarmente sensibile il casato dei Farnese, originario della Tuscia, che rivestì un ruolo di notevole rilevanza militare, politica e religiosa nell’Italia del Rinascimento, raggiungendo il suo apice nel 1534 con l’elezione al soglio pontificio del cardinale Alessandro Farnese (1468-1549) con il nome di Paolo III.

La ricca e multiforme committenza farnesiana coinvolse le più fiorenti botteghe maiolicare del Cinquecento, soprattutto dell’Italia centrale, come ben documenta un superbo piatto da pompa delle collezioni del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza (MIC), prodotto dagli opifici del comune umbro di Deruta, al centro del quale campeggia lo stemma di Papa Paolo III Farnese ed è dunque collocabile nel periodo del suo pontificato tra il 1534 e il 1549, anno della sua morte. Ancor più rilevante fu il coinvolgimento degli artefici urbinati che realizzarono per la famiglia Farnese importanti forniture di vasellame “istoriato”, di gran successo nel corso del Rinascimento, dipinto con scene mitologiche e di storia antica, spesso abbinate a “grottesche” (o “raffaellesche”) su fondo bianco, desunte dal ricco repertorio di pitture e stucchi degli ambienti ipogei (“grotte” per l’appunto) della Domus Aurea di Nerone a Roma e sfruttate da Raffaello e Giovanni da Udine negli affreschi delle dimore farnesiane e delle Logge Vaticane. Il coinvolgimentodei vasai del ducato di Urbino nella realizzazione delle maioliche per i Farnese è ricordato da Giorgio Vasari nella Vita di Battista Franco (Firenze 1878-1885, vi, pp. 581-583), che fornì i disegni preparatori delle “storie” per una preziosa credenza commissionata verso il 1548-1550 dal duca Guidubaldo II per il cardinale Alessandro Farnese (1520-1589), nipote di Papa Paolo III, a conferma delle strette relazioni già consolidate nel 1548 con il matrimonio tra il duca stesso e Vittoria Farnese, sorella del cardinale. A partire dalla metà del Cinquecento il mecenatismo farnesiano si rivolse anche ai maiolicari faentini, artefici all’epoca della fortunata moda dei “bianchi” in stile “compendiario”, connotati dallo smalto bianco latteo di grosso spessore e da esiti pittorici essenziali nella cromia (blu, due toni di giallo e talvolta bruno) e nel segno di estrema finezza grafica. L’apprezzamento per i bianchi di Faenza in Italia e all’estero fu tale che si iniziò a identificare le maioliche con il neologismo faïence, diffusosi in Francia e in tutta Europa a partire dai primi decenni del xvi secolo.

Le maioliche bianche non potevano dunque mancare nelle dotazioni farnesiane e nel 1587 ne venivano registrate, presso la corte ducale a Parma, ben quattro per un totale di 162 pezzi. L’apprezzamento dei Farnese per la tipologia “compendiaria” si manifestò anche sul fronte delle maioliche “turchine”, rivestite da uno smalto dalla colorazione blu lapislazzuli, che connotò la produzione barocca del piccolo centro di Castelli d’Abruzzo. Una credenza in maiolica turchina venne elaborata per il cardinale Alessandro Farnese nel 1574, stando alla data riportata su alcuni esemplari conservati nelle raccolte di Capodimonte a Napoli, decorati in bianco e oro su smalto blu e recanti lo stemma del cardinale.
Questo primo servizio fu forse suscettibile di integrazioni successive in considerazione delle differenze stilistiche riscontrabili sui manufatti superstiti, eseguiti a più riprese presumibilmente entro il 1589, anno della scomparsa del cardinale. Appartiene a questo nucleo il sontuoso rinfrescatoio del MIC di Faenza con lo stemma cardinalizio alle due estremità, che gemella con un altro esemplare del tutto simile delle raccolte dell’Ermitage di San Pietroburgo.

La foggia della maiolica è animata da baccellature ed elementi modellati in rilievo quali mascheroni e volute, che concorrono a incrementare la fastosità del manufatto in linea con il gusto manierista e barocco dell’epoca. Presso il Museo di Faenza sono conservati anche alcuni piatti turchini con stemma prelatizio farnesiano, per i quali la decorazione più corrente potrebbe giustificare una datazione più tarda, ad attestare una ripresa più seriale di questa fortunata tipologia.

Valentina Mazzotti

Valentina Mazzotti

Dal 2012 è conservatrice del MIC di Faenza. Dal 2013 è docente in Storia dell’arte ceramica dei corsi ITS e IFTS. Ha partecipato a convegni sulla maiolica italiana (Assisi 2016, Oxford 2017, Torino-Varallo 2019). È membro del gruppo “Condition report” della commissione “Conservazione” di ICOM Italia.

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