L’inestinguibile attualità della bottega

di Stefano Micelli

Nel corso di questi ultimi dieci anni la riscoperta di una artigianalità cosmopolita, a cavallo fra tradizione, tecnologia e design, ha spinto molti osservatori a riflettere sull’attualità delle botteghe rinascimentali come riferimento per un nuovo modo di pensare la produzione. Il paragone non è fuori luogo. In quest’ultimo decennio la rete ha fatto scoprire la storia di donne e uomini all’origine di prodotti straordinari, ha consentito di vendere produzioni locali su mercati internazionali, ha facilitato la comunicazione diretta fra domanda e produttori. Abbiamo riscoperto, in Italia e non solo, una coorte di artigiani capaci di prodotti unici rivolti a una committenza preparata e spesso generosa.

In tempi di crisi economica e di calo dei consumi è indispensabile riflettere su un nuovo modello sociale, ancor prima che su paradigmi o prodotti. Un modello che può trovare nella nuova bottega artigiana, tra manifattura urbana e dialogo con l’innovazione, l’erede di quell’ideale rinascimentale che ha consentito l’affermarsi dell’eccellenza italiana. E che deve coinvolgere anche le istituzioni.

L’analogia con la bottega rinascimentale consente di andare oltre. Rispetto alla bottega medioevale, caratterizzata da artigiani più attenti alle regole dettate dalla corporazione di riferimento che all’ingegno del maestro, la bottega rinascimentale mette in mostra il talento di figure che spiccano all’attenzione di grandi mecenati. Richard Sennett considera Benvenuto Cellini il prototipo di questa nuova genia di artisti artigiani. Cellini è un uomo con una vita avventurosa alle spalle che tratta direttamente con i reali di tutta Europa. Non è più semplicemente un orafo, dice Sennett. Non è interessato a farsi tutelare dalla sua corporazione. Reclama, con successi alterni, attenzione e rispetto per la propria originalità.
In tempi recenti, un numero sorprendente di grandi artigiani italiani (molti nel mondo dell’arredo) ha fatto un percorso simile. In tanti sono stati capaci di proporre la propria specificità attraverso il Web e, grazie alla rete, hanno potuto vendere il proprio prodotto ben oltre i confini nazionali.
Il successo di queste imprese non dipende solo dai livelli di qualità e di personalizzazione di cui sono capaci, ma anche dall’interesse crescente della domanda per oggetti in grado di fissare un dialogo e una relazione con chi li ha prodotti.

In alcuni casi chi compra è disposto ad accettare qualche difetto rispetto a standard consolidati di qualità pur di ritrovare i segni di una soggettività che si esprime attraverso manufatti unici e irripetibili. Il valore di ciò che si acquista dipende dalla capacità di un oggetto di farsi medium fra culture e sensibilità diverse. Un bene diventa il tramite con una tradizione e, allo stesso tempo, con lo slancio creativo di un produttore di talento. Rispetto alla crisi economica che abbiamo di fronte a noi, è difficile valutare in che misura questa tendenza possa sostituire un consumerismo saldamente ancorato a logiche consolidate di divisione internazionale del lavoro.
È possibile ipotizzare scenari diversi, solo in parte sovrapponibili. Una domanda con poca capacità di spesa potrebbe rapidamente riorientarsi verso beni a basso costo cercando di recuperare potere di acquisto a scapito di un’offerta percepita come troppo impegnativa o addirittura inaccessibile. In un altro scenario, decisamente auspicabile, una rinnovata sensibilità verso la sostenibilità sociale e ambientale potrebbe spingere molti consumatori a orientarsi verso prodotti che hanno una storia plausibile e una faccia in cui riconoscersi.
Dietro a queste due ipotesi sull’evoluzione dei consumi si stagliano nitide forme diverse di organizzazione della società. Rilanciare i consumi a basso costo significa affidarsi alla produzione di paesi come la Cina che oggi stanno investendo in modo consistente su tecnologie 4.0 e che, a breve, potrebbero consolidare una generazione di lights out factories in cui il lavoro umano è un fattore residuale. Queste fabbriche sono già oggi una realtà nella produzione dell’elettronica di consumo e potrebbero esserlo presto in altri settori. In questo scenario, l’idea stessa di lavoro potrebbe uscirne fortemente ridimensionata.

Nel corso di questi ultimi dieci anni la riscoperta di una artigianalità cosmopolita, a cavallo fra tradizione, tecnologia e design, ha spinto molti osservatori a riflettere sull’attualità delle botteghe rinascimentali come riferimento per un nuovo modo di pensare la produzione.

Diverse sono le implicazioni di un orizzonte in cui trova spazio un’idea di artigianalità rinascimentale portata al contemporaneo. In un contesto che ripropone la maestria e il lavoro come valori da riconoscere, produzione e consumo ritornano a dialogare, le città diventano lo spazio di una manifattura in grado di incrociare la vita di generazioni diverse, botteghe e imprese rilanciano un’idea di apprendimento fondato su luoghi che rinnovano connessioni sociali e culturali. Difficile valutare l’evoluzione della società europea nei prossimi anni. Sappiamo che la crisi sarà lunga e impegnativa.
Per quanto riguarda l’Italia, la scelta fra il primo e il secondo scenario non si gioca su generiche prese di posizione a uso di nostalgici della grandezza del paese nel Cinquecento. Si misura, piuttosto, sulla volontà di investire in una scuola capace di sostenere una nuova visione della manifattura. Dipenderà dalla volontà di tanti amministratori locali di ridare spazi alla manifattura nei centri delle città garantendo le condizioni per un artigianato urbano a ridosso di istituzioni culturali e turismo di qualità. Si confronterà con la nostra volontà di supportare, individualmente e collettivamente, un consumo sostenibile che privilegia impegno e cultura.

Stefano Micelli

Stefano Micelli

Insegna International Management all'Università Ca' Foscari di Venezia. La sua attività si concentra sulle ragioni del successo della manifattura italiana sui mercati internazionali mettendo a fuoco le connessioni fra innovazione tecnologica, design e saper fare della tradizione.

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